mercoledì 5 marzo 2014

Di là dal fiume e tra gli alberi


È il modo di concepire e misurare la ricchezza che impedisce il suo estendersi all’intera società (*). Tuttavia si tratta di un modo di concepire e misurare che dipende dalla stessa ragion d’essere del modo di produzione capitalistico (che è di per sé un modo limitato di produrre la ricchezza), non dunque dal mero capriccio dell’individuo. Perciò i riformatori del capitalismo o sono dei velleitari oppure dei furboni, ivi compresi i teorici della decrescita: non esiste una mezza via, un compromesso, se non nella loro fantasia (**).

Il capitale è contraddizione in processo, non ne vogliamo tenere conto? Per massimizzare il profitto è necessario ridurre il rapporto tra lavoro e capitale costante, non si tratta di un capriccio bensì di un fatto confermato dall’aritmetica. Dall’altro, questa riduzione del capitale variabile determina tendenzialmente la caduta del saggio del profitto. E anche qui siamo nel pieno effetto di una legge, sia pure dialetticamente contrastata nel suo movimento da delle controtendenze.

Si dirà che si tratta di questioni teoriche e astratte. Eh no, belli; non si può capire dove va il mondo se non se ne comprendono le leggi che lo fanno muovere. Difficile da intendere? Proviamo con le caramelle.



Se diminuisce il lavoro necessario per produrre un certo numero di bon bon, conseguentemente diminuisce il valore delle singole caramelle. Se diminuisce il valore per unità di prodotto, delle singole caramelle, il capitale per garantirsi un’adeguata valorizzazione ha bisogno di una sempre più massiccia produzione di bon bon. Ciò che tende a perdere nella qualità, cerca di recuperarlo nella quantità. Question de vie et de mort.

Pertanto, la sovrapproduzione di merci e l’aumento della disoccupazione, sono una conseguenza necessaria del modo di produzione capitalistico. Occupazione e disoccupazione seguono i cicli dell’accumulazione, perciò quando lo Stato interviene a sostegno dell’occupazione nei periodi di crisi, lo fa nell’ambito delle leggi di movimento del capitale. La creazione di una domanda aggiuntiva (aggregata) è un espediente necessario, ma appunto una misura temporanea.

Il nodo è sempre lo stesso: la quantità di lavoro non pagato, nella sua forma non solo di merci ma anche di capitale, non trova sbocco e non trova impiego. Lo Stato, intervenendo direttamente nella creazione di domanda, può per un certo periodo assorbire l’eccedenza di merci e di capitali, ma la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico tende a riprodursi e pure in forma allargata. La finanziarizzazione ipertrofica dell’economia è solo uno degli aspetti, per i suoi effetti macroscopici il più grave, di questa degenerazione.

Non c’è bisogno di ripetere troppo spesso tali concetti e del resto non ci sono parole che possono curare dalla sordità. Vorrei però soffermarmi su un luogo comune piuttosto resistente, ossia quello che vede nello sviluppo illimitato delle forze produttive capitalistiche un duraturo e largo accesso ai consumi per le classi sfruttate. Prima ancora che un equivoco si tratta di una menzogna messa in circolazione ad arte.

Anzitutto va rilevato – e negli ultimi anni la cosa diventa palese anche nei paesi occidentali – come la necessità di sopprimere il tempo di lavoro necessario, per i motivi essenzialmente detti in premessa, implichi la necessità di ridurre l’operaio ad un minimo.

Di qui vengono i reiterati richiami dei portavoce dei padroni al fine di “riformare il lavoro”, non potendo riformare il capitale. Il movimento del salario, per rimanere in tema, testimonia l’irriducibile antagonismo tra salariati e capitalisti, e conferma la tendenza al peggioramento delle condizioni della classe lavoratrice relativamente a quelle della borghesia (e non rispetto alla classe operaia di epoche remote come vorrebbero certi deficienti, i quali partendo dalla costatazione dell’aumentata quantità di merci di cui oggi i salariati possono disporre rispetto al passato, deducono l’inconsistenza e la falsità della teoria della “pauperizzazione”).

Inoltre, sotto l’aspetto storico, dimostriamo di avere una memoria corta e di voler altresì misurare il tempo storico in pochi anni o alcuni decenni. Non dobbiamo invece dimenticare le immani tragedie a partire almeno dalla prima guerra interimperialistica, ossia dalla grande guerra europea del 1914-18, tragedie proseguite per due decenni in quel dopoguerra, ed infine culminate con l’ecatombe della guerra 1939-1945. Solo nel secondo dopoguerra il ciclo economico – divenute nel frattempo mature alcune condizioni e disponibili alcuni prodotti per una produzione di scala – ha ripreso slancio per meno di un trentennio. Altre crisi, altri conflitti, hanno segnato comunque il capitalismo fino alla caduta del Muro. Infine, ma solo per farla breve, la crisi attuale, dalla quale non si vede come il sistema possa uscirne, peraltro in un clima di contesa internazionale sempre più minaccioso e foriero di nuove tragedie.

(*) Ci sarebbe anzitutto da chiedersi perché in un sistema economico in grado di produrre tanta eccedenza di merci e capitali, con fenomeni di eclatante sovrapproduzione e di spreco, non riesca a garantire una distribuzione adeguata della ricchezza. E non si tratta semplicemente di dare risposta a una questione di giustizia sociale, che pure deve interessarci, ma di mettere in luce anzitutto come gli uomini non siano in grado di regolare la propria attività economica secondo un piano cosciente e razionale.


(**) Facciamo spesso molta confusione su ciò che dipende dalla volontà dei singoli e ciò che invece è determinato dalle leggi della necessità. È questo un equivoco al quale concorrono molte cose e troppi interessi, cioè far credere che l’individuo di per sé possa giocare un ruolo fondamentale nel determinare il corso delle cose, già solo il corso della propria vita.

11 commenti:

  1. Qualcuno potrebbe obiettare che l'esempio dei bon bon non funziona.

    Infatti verrebbe da dire che il "valore" dei bon bon dovrebbe rimanere costante a prescindere dalla quantità di lavoro necessaria per produrli.

    Effettivamente è così se è l'individuo singolo a produrli, cioè in sostanza se confondiamo il valore con il valore di scambio.

    Infatti se come lavoratore autonomo produco bon bon, che io ne produca 5 piuttosto che 10 all'ora è trascurabile, ciò che conta è il valore di scambio che riuscirò ottenere in cambio del singolo bon bon. Anzi se li produco più velocemente ho due possibilità:
    1) se mi accontento posso usare a mio piacimento il mio tempo libero;
    2) se non mi accontento potrei anche produrre dell'ottimo pesto genovese in barattoli, e vendendo pure quello riuscirò a fare più soldi (valore di scambio). Questo posto che ci sia abbastanza domanda di bon bon e pesto.

    Ovviamente sto "giocando", ma la provocazione ha un senso, ed è il seguente:
    Sono pronto a scommettere che la maggior parte delle persone interpreterebbe il tuo esempio nel modo (ovviamente errato) che ho esposto io, poichè l'ideologia dominate vuole convingere la ggggènte che non siamo schiavi salariati.

    Il tuo esempio è chiaramente corretto (non ci volevo io aa dirlo!) poichè il lavoro è capitale variabile.. se il capitalista aumenta il capitale costante (mezzi di produzione) per produrre più velocemente e più efficientemente (ah, quanto piace la parola efficienza a i capitalisti/manager/etc etc) i bon bon, deve necessariamente riuscire a venderne di più altrimenti invece di guadagnarci ci perde... considerando che nel mentre continua a pagare X operai per Y ore al giorno, a prescindere dal fatto di vendere o meno i bon bon; a cui sovrapproduzione, disoccupazione, e via di seguito..

    PS questa mia provocazione credo descriva, anche se solo parzialmente, le motivazioni del luogo comune di cui parli nel post (aumento capacità produttive capitalistiche --> aumento accesso ai consumi per le classi sfruttate)

    Ciao
    Marco

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    1. chiaramente nel mio post mi riferisco al lavoro come lavoro sociale medio

      ciao

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    2. Vallo a spiegare all'uomo medio.... sono serio eh! io nel mio piccolo sto cercando, ogni volta che capita l'occasione, di lanciare spunti di riflessione a destra e a manca... a volte vedo delle luci accendersi negli occhi dell'interlocutore di turno.. solo così possiamo sperare che il tempo (la necessità storica) faccia il suo corso prima possibile!

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    3. [...] 1) la crisi in corso segna un mutamento irreversibile del modello di accumulazione capitalistica e ha provocato il definitivo divorzio fra democrazia e mercato, per cui oggi viviamo sotto regimi postdemocratici in cui gli interessi del capitale globale governano direttamente senza mediazione politica le nostre vite.
      2) le nuove classi medie occidentali (uomo medio? -ndr- ) che negli anni Novanta avevano accarezzato il sogno di una economia di conoscenza e di un superamento pacifico del capitalismo sono state letteralmente fatte a pezzi dalla crisi; in compenso oggi assistiamo a una controtendenza alla concentrazione del proletariato globale dei Paesi in via di sviluppo e nei nuovi poveri dei Paesi occidentali,perciò il fronte di opposizione antagonista al sistema deve essere ricostruito da lì.
      3) le esperienze dei movimenti degli ultimi decenni insegnano che lo spontaneismo, orizzontalismo e culturalismo (si parte dalle identità di classe e non dall'appartenenza di classe) non pagano; occorre quindi tornare a riflettere sull'idea di partito come organizzazione antagonistica degli interessi di classe,un concetto che va tuttavia adeguato alle attuali condizione di frantumazione delle soggettività, inventando nuove formule
      organizzative e nuove formule procedure decisionali.
      4) il capitalismo non cade da solo nè possiamo illuderci che siano le richieste di diritti e riconoscimenti identitari a rovesciarlo, quindi non basta tornare a ragionare sul partito
      occorre ragionare anche sul 'farsi stato' delle classi subordinate
      e sulla capacità egemonica se si vuole gestire la transizione a una civiltà postcapitalistica.
      Così Carlo Formenti nella sua introduzione a 'Utopie letali' definisce in queste quattro tesi la sua descrizione propositiva e 'forse' può costituire anche una sorta di sintetico filo conduttore dei discorsi fatti fin qui.
      Posto che personalmente ci vedrei ancora molta pars destruens (ma mi riservo di chiarirla direttamente con l'autore), sarebbe interessante, nei limiti naturali dei post, teorizzare un possibile scenario economico - non sociologico perchè quello lo si darebbe per scontato (accensione delle luci oculari permanente) - delineato negli schemi marxiani. Tenendo presente le sconfortanti contestualizzazioni ormai perso il tessuto industriale portante. Cioè abbandoniamo per un solo istante indubbi masochismi e instillazioni di complessi di colpa per un'esercizio ' didattico' su proposte che non si limitino
      al solo riesame degli strumenti.
      Non so se ciò sia possibile, mi piacerebbe per capire meglio.

      lr

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    4. dio solo sa se c'è bisogno del riesame degli strumenti, e pure in modo schematico, partendo dall'abc, anzi, dalle aste

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  2. Intanto mi permetterei di consigliare la lettura del libro (penso 18€ ben spesi), dove la situazione dell'oggi mi sembra ben delineata (taglio marxista), anche alcuni interventi in youtube sul libro e su teoria e tecnica dei nuovi media. Terminata agiografia del personaggio.

    Attenzione col riesame perchè preso dal giurassico diventa lunga.
    Prima bisognerebbe verificare e poi impostare le corrette traettorie neuronali dopodiche è sufficiente un bignamino per concetti semplici; nel contesto, anche nei tempi aurei pochi militanti avevano approfondito Das Kapital se non per brevi florilegi politici ( parte economica,Grundisse ecc. richiedono mascelle forti), come peraltro l'immacolata concezione consisterebbe ancora oggi per i più in un totale disinteresse maschile da parte della madonna.
    (Nella personale ricerca della luce negli occhi del prossimo ,se attacchi dal politico,la risposta di rito anche col sinistro convinto, oltre al vetusto improperio sessualpolitico contro B. e il dubbio 5stellato è: 'cosa ci possiamo fare ? ', se attacchi dall'Ambiente : ' ....e ma allora così non si vive più !' ), e si sa che a far l'agrario la terra è bassa.

    Quindi valore d'uso, di scambio e caduta dei profitti mi sembrano concetti
    chiari come peraltro il gangsterismo e truffa dei capi - l'ha confermato anche il Sole - sui derivati, swaps, leverage,hedges e compagnia bella, insomma .... secondo me ci capisce poco anche qualche bocconiano.
    Da ignorante mi piacerebbe invece capire gli scenari - oltre alle analisi dello status - in un quadro abbondantemente teorico oltre al tormentone eurosì eurono; tanto per la Critica al programma di Gotha crepo prima.
    Spasmi notturni.Un saluto

    lr

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    1. per il momento ho letto l'intervista che mi era stata segnalata ieri stesso dal mio amico Luca. leggerò senz'altro il libro, per certi aspetti credo sia una rarità, ma già ora pongo delle riserve di cui dirò in seguito. ciao

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  3. Gli girerò le riserve insieme alle mie se avrò occasione di vederlo,comunque sa già dove punta la mia bussola. Anche lui però mi sembra pervaso dalle nebbie del recente ingresso in 'pensione' quando mi parla della 'concentrazione del proletariato globale dei Paesi in via di sviluppo'. Ma a parte i nuovi cinesi (ho già fissato un appuntamento con il chirurgo maxillo - facciale per gli occhi a mandorla), ma come farai a dire ai 600 m di musulmani che nella piramide marx sta un gradino sotto a muammad ?
    Anche il Carlo mi sembra blindato in un'oasi del WWF.
    à bientot

    lr

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    1. sto scrivendo un post a commento dell'intervista

      come fari a dire che sta un gradino sopra, vorrai dire, perché un gradino sotto c'è pure tale gesù di nazaret, e mettere marx e gesù sullo stesso piano non creerebbe problemi tanto ai musulmani, quanto a noi

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  4. Leggo in ritardo. La mia tassonomia al momento si limitava riduttivamente a due. Per la mia esperienza tra le due schiere 'sperant'i la differenza è abissale. Il merito nella disanima disciplinare lo lascio a Mircea Eliade.
    Resta il fatto che descrivere quei mondi necessita una frequentazione in sito oltre a quella teorica pur che profonda, e per quanto mi riguarda Formenti e altri, che io ne sappia, il punto più lontano da casa è stato la cattedra universitaria.

    lr

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    1. non ho ben capito, lei dapprima mi segnala Formenti e il suo libro riportandone, mi pare, ampi stralci; poi però l'affonda nel sarcasmo dicendo, tra l'altro, che per parlare di certe cose bisogna andare oltre la propria cattedra. E questo può anche essere vero. Converrà con me, spero, che nel caso di Marx egli non si allontanò mai troppo da Soho. Oggi poi disponiamo di una pluralità quasi infinita di fonri di informazione e di verifica per cui non aerve, per es., recarsi agli antipodi per vedere che anche lì gli uomini camminano a testa in su (anche se non tutti, come del resto qui da noi).

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