domenica 15 dicembre 2013

Tir


Ieri sera mi trovavo in un negozio e con la titolare, con la quale sono in confidenza, stavamo accennando della manifestazione con distribuzione di volantini che stava avvenendo a poche centinaia di metri da noi. Era presente un signore che credevo il cognato, invece era un semplice amico. Costui, con molto garbo e pacatezza, è intervenuto nel discorso che stavamo facendo con delle osservazioni molto più generali, sulla globalizzazione e dintorni. Persona certamente informata, ripeteva pedissequamente i soliti argomenti scalfariani, compresa la cosiddetta teoria dei vasi comunicanti. Inutile replicare quando le convinzioni si sono sedimentate tanto in profondità. Questo riferimento è solo per dire dell’influenza esercitata dal giornalismo ammantato di pragmatismo e che invece serve ben concreti interessi.

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Scrive Scalfari oggi nel suo editoriale:

“I Tir sono comunque il centro di queste manifestazioni. Ricordiamoci che fu la loro rivolta in Cile a mettere in ginocchio Allende aprendo la strada alla dittatura militare di Pinochet”.

Messa così, per il lettore che non abbia ben precisa la dinamica storica degli avvenimenti dei primi anni Settanta in Cile, a mettere in ginocchio Allende fu una rivolta popolare, poi sfociata nella dittatura militare. Più sottilmente, Scalfari allude al fatto che dietro alla rivolta dei camionisti cileni (ma non solo loro), vi fosse, come certamente vi furono, forze reazionarie interessate ad abbattere Allende, il presidente democraticamente eletto. Naturalmente Scalfari non può spingersi oltre, non chiarire da chi fossero eterodirette queste forze reazionarie e poi golpiste. L’allusione al Cile di Allende serve a Scalfari solo per tracciare un parallelismo con quanto sta avvenendo in Italia; ed infatti scrive: “Gli spostamenti dei Tir sono costosi ma non si sa chi siano i finanziatori”.

Quello di Scalfari è un mestiere ingrato, non ci sono dubbi in proposito per le persone oneste, e c’è un motivo per il quale egli non si fa mai la barba da sé. A volte, per il passato, la sua stravaganza dava al giornale un tocco di brio, il suo coraggio nel sostenere opinioni impopolari dava a Repubblica l’impronta dell’anticonformismo. Se poi (ma non è mai stato il suo caso) a causa di un editoriale si perdono anche dei contratti pubblicitari, questa diventa la prova dell’indipendenza del giornale. Il rovescio della libertà dell’editorialista è la non libertà della redazione (soprattutto quando a comandare c’era proprio il barbuto). Qui gli articoli devono essere scritti in un certo modo, devono soddisfare banalmente i “bisogni” dei lettori: sex-appeal, horror-appeal, giallo-appeal, ecc.. E anzitutto occhio alla “linea”.


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