lunedì 30 dicembre 2013

E ciò spiega anche tanti altri perché


La chiesa cattolica apostolica romana conserva un certo peso ormai solo in paesi come l’Italia, per il resto, da più di trent’anni, galleggia solo grazie a gigantesche operazioni mediatiche. Il Papa è diventato una delle tante star del grande e composito spettacolo, perciò l’anacronistico Ratzinger è stato messo da parte per far posto ad un attore professionista.

I cattolici nel mondo rappresentano una minoranza, nominalmente uno su sette, poco più di un miliardo, ma in questa statistica gonfiata c’è dentro di tutto, anche gli atei che da bimbi sono stati battezzati, oppure gente che non possiede la più pallida idea dei fondamenti della dottrina cattolica e però nel portafoglio conserva l’immaginetta apotropaica di un qualche idolo del pantheon più comico della storia.

E vengo al dunque, ossia all’affermazione scalfariana secondo cui il peccato sarebbe stato abolito da papa Bergoglio. Più che di un’eresia grossolana, quella di Scalfari è un’occasione perduta. È vero, invece, che il senso del peccato s’è estinto perché ad esso non crediamo più, e questa per le gerarchie ecclesiastiche costituisce, obtorto collo, una presa d’atto.



La misura universale degli esseri e delle cose non riguarda più il sacro, la realtà è modellata sul regno della merce e non più sul regno promesso dai preti di ogni risma. Perciò, nella prospettiva mercantile, il Vaticano deve mostrarsi misericordioso con tutti, anzitutto con se stesso, altrimenti di questi tempi né il mastice del timor di Dio e nemmeno il mercato della carità indotto dalla crisi economica riuscirebbero a tenere insieme i cocci della multinazionale apostolica romana.

Ciò che appassiona nelle sterili diatribe mediatiche tuttavia non chiarisce il punto, che invece può trovare idonea spiegazione nelle dinamiche dell’economia. E qui è necessaria una digressione ab ovo.

Succede al cattolicesimo ciò che già accadde per il mito classico ben secoli prima che esso fosse soppiantato dall’antagonista monoteista. Il mutamento antico non fu questione di una nuova soglia di consapevolezza della coscienza, così come nella modernità la declinazione del mero conflitto tra fede e razionalità non è motivo sufficiente per spiegare il cambiamento avvenuto nel rapporto tra società e religione.

Porre l’opposizione tra fede e ragione come motivo sostanzialmente sufficiente del cambiamento moderno in tale rapporto, costituisce il difetto principale di ogni forma d’idealismo, e non solo di quello al quale soggiace compiaciuto Eugenio Scalfari.

Il conflitto tra fede e ragione, di per sé, è solo la più apparente delle questioni, e vale dunque la pena di interrogarsi su quali processi profondi hanno condotto a quelle libertà che noi consideriamo imprescindibili, e in primis a quella  libertà di coscienza che ha consentito per la prima volta nella storia la possibilità di decidere liberamente e concretamente se aderire o no ad una religione.

Per rendere libera la coscienza degli uomini, ad un certo grado, sono necessarie determinate condizioni sul piano storico e materiale. Di quale libertà, fosse pure di coscienza, poteva farsi pregio l’antico schiavo, oppure il servo nella società curtense? In quelle società il mito ben s’adattava ad esprimere l’immobilismo agrario e le forme di coscienza ad esso compatibili. Né la libertà di coscienza, quale l’intendiamo oggi, è semplicemente la figlia insolente e ragionatrice della pratica mercantile, se non per delle élite, altrimenti con la semplice esistenza del patrimonio monetario l’antica Roma o Bisanzio avrebbero terminato la loro storia con il lavoro libero e il capitale.

A tale riguardo, è bene notare che il patrimonio monetario nell’alto medioevo è stato uno degli agenti della dissoluzione del vecchio modo di produzione, ma accanto ad esso si sono sviluppate con ampiezza altre condizioni oggettive del lavoro e della sua condizione, in modo che se il patrimonio monetario è stato uno degli agenti della dissoluzione, allo stesso modo, dialetticamente, la dissoluzione degli antichi rapporti sociali è stata la condizione della sua trasformazione in capitale.

Attraverso tali processi, il capitale monetario fu messo in grado, da un lato di comprare le condizioni oggettive del lavoro, dall’altro di ottenere in cambio del denaro lo stesso lavoro vivo degli operai diventati liberi. Ma per avere lavoratori liberi, essi devono essere separati dalle condizioni precedenti, ossia devono essere spogliati dei mezzi di sostentamento. In questo modo si crea una massa di forze di lavoro libera in un duplice senso: sia dagli antichi rapporti di clientela e di servitù e di prestazione, e in secondo luogo libera di ogni avere, di ogni forma di esistenza oggettiva, libera da ogni proprietà.

Per rompere con gli antichi rapporti sociali, per disporre non del lavoratore libero, ma della sua condizione di lavoratore libero, ossia, come detto, libero dalle condizioni e dai mezzi necessari al suo mantenimento, si è resa necessaria una lotta durata molti secoli, una lotta ideologica che ha investito l’intero campo delle forme ideologiche della coscienza, e dunque l’intero campo del reale, una contrapposizione che non ha tagliato le classi sociali nettamente, ma si è frastagliata fin dentro ogni classe, come del resto vediamo anche oggi con il dispiegarsi di una nuova fase dell’imperialismo capitalistico.


Da ultimo, va osservato che il 1789 non ha segnato la fine del modo di produzione agrario, ma del suo predominio. Un passaggio questo che ha avuto notevoli ritardi in Italia, non solo di natura economica, basti pensare alla grande resistenza opposta dal cattolicesimo ad ogni processo di emancipazione delle libertà civili, e all’arretratezza culturale in cui è stato tenuto anche recentemente il paese in nome di un anacronistico anticomunismo e pure contro qualunque forma di radicale dissenso e proposta di cambiamento. E ciò spiega anche tanti altri perché.

4 commenti:

  1. Oh, «pantheon piú comico della storia» è un’inutile cattiveria, madonna Olympe.

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  2. Oh, «pantheon piú comico della storia» è un'utile precisazione, madonna Olympe. O forse no. Sarebbe più pregnate dire, l'osceno pantheon. Per il resto, sono d'accordo, totalmente solidale. Ma quello che mi piace di più è la sintesi. Il che significa che madam ha assimilato magistralmente il materialismo storico, per i profani, il cosiddetto marxismo. Saluti rossi.

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    1. Ovvía, rosso anonimo, «osceno» proprio no. Un pudico panteo di vergini, pii pensatori, martiri e consolatori misericordiosi, forse davvero il meno osceno fra tutti gli altri olimpi.

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  3. Olympe, nel post successivo hai scritto una cosa che mi ha colpito molto .-Marx ha scritto che ogni epoca si pone i problemi che può risolvere-
    tempo fa il mio maestro di yoga mi disse -Dio ci manda solo i problemi che possiamo sostenere- (secondo la legge della causa e dell'effetto cioè , la legge del karma che ,in base al libero arbitro, ci rende unici responsabili del nostro destino senza alcuna intervento di altra natura ).tutto questo va a suffragare ciò che penso da tempo : quelli che non credono a nulla di trascendente hanno , a volte, intuizioni molto più sottili di coloro che si battono il petto.....

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