venerdì 22 novembre 2013

Lo ricordo bene quel 22 novembre


E anche quando emergessero le prove che fu Erostrato a sparare a Jack Kennedy in quel 22 novembre 1963, che cosa cambierebbe? Il fantasma di Jack fu poi ben adatto per alimentare il mito americano a chiusura dell’età dell’oro, e anche in Italia la toponomastica dedicata a quest’eroe delle scopate extraconiugali si spreca.

Non fu il primo presidente Usa ad essere assassinato, com’è noto. Sicuramente dopo Lincoln fu sparato a James Abram Garfield (1881), e poi toccò a William McKinley (Gore Vidal lo racconta in un suo romanzo/saggio). Poco nota è invece la vicenda di Huey Pierce Long, un personaggio il cui nome, se fosse diventato presidente, lo conoscerebbero tutti molto bene.

A Jack naturalmente fu riservato un funerale degno del presidente, molto meno degna fu l’inchiesta per il suo assassinio, non tanto perché non rivelò traccia di un complotto, ma perché fin dall’inizio non indagò a fondo sulla dinamica dell’omicidio di D.J. Tippitt e poi dello stesso Oswald, e precluse la possibilità che a sparare non fosse stato solo uno squilibrato armato con un moschetto italiano della prima guerra mondiale modificato.



Poi fu la volta di Martin King e Robert Kennedy, quest’ultimo sicuro vincitore delle presidenziali se vi fosse arrivato vivo, il quale aveva condotto una campagna elettorale tutta improntata contro la guerra in Vietnam (la qual cosa non significa che vi avrebbe poi messo fine). La cognata glielo aveva detto: Bob, farai la fine di tuo fratello. L’omicidio politico è una costante della storia degli Usa, solo che tendiamo a dimenticarcene, così per le stragi, come a Pearl Harbor o, appunto, in Indocina.

Quest’ultima guerra, che non sarebbe stata l’ultima, invece, proseguì. A ferragosto del 1969 ci sarebbe stato Woodstock, il grande raduno giovanile dove i figli della piccola e media borghesia americana chiedevano di essere lasciati in santa pace nei loro sacchi a pelo, di non partire per la guerra, di poter ascoltare musica, di fumare spinelli e sognare, di bere lattine di birra e di coca. Ad ogni buon conto i figli della grande borghesia, come Bush Jr. per esempio, non correvano nessun rischio se non andavano a cercarselo.

Non saranno le marce di questi giovani a mettere fine al conflitto, come qualcuno vorrebbe far credere. Né il rilievo dato dai media a quella sciagurata guerra. Saranno gli impresentabili e vituperati Nixon e Kissinger a porvi fine, ma soprattutto la resistenza, la tenacia e il sacrificio del popolo vietnamita.


Gli Stati Uniti hanno creduto di aver in pugno la Storia e di renderla conforme ai loro interessi per sempre, a qualunque costo. Ed è ciò che dovrebbe ancora spaventarci. O no?

3 commenti:

  1. "Gli Stati Uniti hanno creduto di aver in pugno la Storia e di renderla conforme ai loro interessi per sempre, a qualunque costo."

    e in effetti, è andata proprio così, almeno a tutt'oggi. Domani chissà, Chinaglia potrebbe passare al Frosinone, peresempio...?

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  2. Avevo completamente scotomizzato la ricorrenza, quest’oggi, dei cinquanta anni dall’attentato a John Fitzgerald Kennedy, per cui vorrei proprio ringraziarLa per averla ricordata a tutti noi.

    Mi concederò appena possibile il piacere di aggiungere alcune ulteriori considerazioni a quanto da Lei già esposto con competenza e passione.

    filippo

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  3. Tutti gli Imperi "hanno creduto di aver in pugno la Storia e di renderla conforme ai loro interessi per sempre, a qualunque costo."
    E poi,dopo una serie di guerre rovinose(stavolta nucleare permettendo),fatte dai poveri che vanno a combattere e morire per i capricci, le ricchezze e il superfluo di altri(Plutarco),nasce un altro Impero.

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