martedì 12 novembre 2013

Il caso esemplare dell'Italia


Fu inevitabile, nel 1944 a Bretton Woods, prendere certe decisioni e non altre in materia monetaria e finanziaria. Inevitabile data la posizione di classe, dunque dati gli interessi in gioco dei partecipanti alla conferenza, rappresentanti le rispettive borghesie di 44 paesi. Fu sancito di eleggere il dollaro a moneta leader degli scambi internazionali agganciando ad esso tutte le altre monete nazionali. Il dollaro venne a rappresentare, come segno del valore, il suo rapporto con l’oro (35 dollari per un’oncia), con il quale era convertibile. In questo modo si pensava di aver stabilizzato il mercato dei cambi dopo la corsa alle svalutazioni competitive e la crisi degli anni Trenta, la quale riproponeva in forma esasperata i problemi di quelle precedenti.



Il ciclo economico espansivo del dopoguerra mise in ombra le contraddizioni strutturali del capitalismo mondiale, e il dollaro funse bene allo scopo. Fino agli anni Sessanta, quando cominciarono nuove turbolenze, tanto che Germania e Olanda decisero nel maggio del 1971 di lasciar fluttuare le proprie monete rispetto al dollaro. Nell’agosto seguente, infine, in modo unilaterale, gli Usa sancirono la fine della convertibilità della propria moneta che subì una drastica svalutazione, imponendo (sono liberisti solo quando torna loro comodo) una tassa del 10% sulle proprie importazioni, più tardi abolita. Inevitabile che rincarasse l’oro e il petrolio, pagato in dollari.

Alcuni mesi dopo, la parità tra dollaro e oro fu fissata, con l’accordo raggiunto al Smithsonian Institution, a 38 dollari per oncia, dunque si stabilirono nuovi rapporti di cambio e la possibilità di oscillazione, con degli scarti ufficiali del 4.5% (2.25 in più o in meno) che potevano però arrivare al 9% effettivo. Si rivelò, come era facilmente prevedibile, un accordo inefficace per la stabilità dei cambi. Già all’inizio del 1973, con una nuova svalutazione del dollaro, cui ne seguiranno altre, gli Usa fecero saltare lo Smithsonian Agreement, dando corso alla libera fluttuazione delle altre valute. La svalutazione del dollaro e la sua non convertibilità fu uno dei motivi che condussero alla crisi dei primi anni Settanta, al forte rincaro del petrolio, il periodo dell’”austerità” che i media imputarono all’esosità degli emiri arabi.

In quei frangenti, per far fronte alle turbolenze monetarie sul mercati dei cambi, in Europa, a Basilea, all’inizio del 1972 venne raggiunto un accordo vincolante tra le monete europee che ponesse come limite uno scarto del 2,25 per cento alle oscillazioni tra le diverse monete e del 4,5 sul dollaro. Fu il famoso o meglio famigerato Serpente monetario europeo (da non confondere con il successivo sistema monetario europeo, detto anche SME), al quale non aderirono Gran Bretagna e Irlanda (contrariamente a quanto dice Wikipedia). Con un cambio così rigido, l’Italia non poteva starci, ed infatti uscì già nel 1973. Solo le valute dei paesi dell’area del marco rimasero nel Serpente, un fatto forse premonitore …..

Il resto è storia recente.

È un fatto che ogni paese debba tendere quantomeno al pareggio della propria bilancia dei pagamenti, anche se ciò in un sistema economico capitalista non basta. Detto in breve: posto che la quantità di salari che la classe operaia di un determinato paese può spendere è data, allo stesso modo della spesa sostenuta dalle altre classi sociali, è conseguenza che i consumi interni non sono sufficienti per realizzare la massa del plusvalore contenuto nelle merci, è perciò necessario trovare mercati all’estero. In altri termini, gli Stati si muovono all’interno delle leggi dell’accumulazione capitalistica, il loro intervento è un portato necessario di tale processo, anche perché ciò consente di scaricare la crisi sugli altri paesi.

Come già accadde negli anni Trenta, e poi a seguire con la crisi dagli anni Settanta, ossia nei momenti nei quali la crisi di ciclo si fa più acuta, gli Stati tendono a svalutare la moneta per rendere le proprie merci più competitive, anzitutto la merce per eccellenza, ossia il lavoro. Oggi però svalutare la moneta è più difficile in forme dirette, e in particolare in Europa si preferisce ricorrere al taglio delle prestazioni sociali e alla svalutazione di salari e pensioni, al supersfruttamento e alla precarizzazione di ogni rapporto, con la progressiva confisca delle libertà democratiche nel quadro della trasformazione della forma Stato.

L’aver delegato ad una moneta comune europea e a degli organismi sovranazionali tali compiti, sotto la dominanza politica della Germania e dunque del capitale più forte, priva gli Stati nazionali di ogni significativa iniziativa d’intervento, ed essi subiscono tale gerarchizzazione quanto più sono deboli economicamente e tanto più quando mancano di una struttura di potere omogenea e di un’adesione popolare alle istituzioni nazionali. È questo il caso esemplare dell’Italia.


3 commenti:

  1. Risposte
    1. eheh, ho avuto dei giorni di lavoro decisamente impegnativi ... ora devo recuperare i post che mi sono perso!

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