lunedì 18 novembre 2013

Anche il sor Renzino promette milionate di posti di lavoro


Scrivevo in questo post:

Affermando che l’uomo non è il risultato dalla suo sviluppo storico, ma il prodotto della sua essenza biologica, si possono poi spiegare le contraddizioni di una società irrazionale e sperequata, dal lato oggettivo, ed ingiusta, dal lato morale, come effetto della natura propria ed intrinseca dell’uomo. Su tale presupposto, le crisi diventano "disarmonie" nel libero gioco delle forze di mercato, la miseria e le grandi ricchezze si giustificano con l’essere l’uomo naturalmente competitivo e il suo essere biologicamente egoista. Del resto, ci fanno credere, è sempre stato così. Perciò non ci resta che assoggettarci di buon grado alle sorti magnifiche e progressive di un’organizzazione sociale che, pur “imperfetta” a causa delle “umane debolezze”, è la migliore possibile.

Riprendo qui il filo su questo tema che appare così scontato ad alcuni e che invece non è poi tanto pacifico. Intuitivamente il senso comune comprende che il mondo sta cambiando molto velocemente, anche perché tali mutamenti avvengono sotto i nostri occhi e soprattutto ci coinvolgono in prima persona non solo nei nostri modi e stili di vita ma nei nostri interessi più essenziali. Come per esempio quando si perde il lavoro e non c’è possibilità di trovarne un altro, oppure, per un giovane, quando è costretto ad accettare condizioni di sfruttamento che solo vent’anni fa erano considerate abnormi e fuori dalle regole.



Insomma, per quanto riguarda l’offerta di lavoro, essa tende sempre più a spostarsi nei luoghi e alle condizioni dettate dal cosiddetto mercato, termine che gli ideologi hanno sostituito a un concetto ben più pregnante, ossia a quello di capitale. Perciò quando il candidato a segretario del Pd, il signor Renzi, dichiara in tv che è necessario creare posti di lavoro, il giornalista che ha di fronte a sé dovrebbe chiedergli di rimando, se fosse una persona decente e un professionista serio, come e dove concretamente il signor Renzi, quale segretario di un partito, intende creare i milioni di posti di lavoro necessari per dare impiego a tutti.

Più in generale si tratta di prendere atto (e semmai di agire di conseguenza, ma che può fare il sor Renzino?) che oggi per produrre una qualsiasi merce è necessaria una quantità di lavoro vivo (cioè di lavoro immediato) molto inferiore rispetto al passato. Ciò è evidente a tutti qualora si consideri la massa di lavoro oggettivato che il lavoro vivo può mettere in moto. In altri termini, la quantità di prodotti disponibili non è determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla sua stessa forza produttiva. 

Ciò che significa? Si può rispondere a questa domanda come fanno i vari Renzi in televisione, cioè usando la propaganda e confidando negli effetti che tale vaniloquio produce sulle menti insufflate di stupidaggini dalla comunicazione mediatica. Ciò che non vogliono e non possono dire è che non è più possibile, dato il livello raggiunto dalle forze produttive, che il fattore decisivo della produzione della ricchezza continui a essere la quantità di tempo di lavoro immediato. In altri termini, la ricchezza reale si manifesta – quale risultato storico dello sviluppo delle forze produttive – nell’enorme sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto ad una pura astrazione e la potenza del processo di produzione che esso sorveglia.

Poiché il capitale ha la necessità di ridurre il tempo di lavoro necessario (spero che ciò risulti anche a Renzi), e cioè di aumentare la quota di plusvalore estorta – dunque l’entità dello sfruttamento, ossia la famigerata produttività del lavoro tanto strombazzata dai media borghesi – incrementa a tal fine l’impiego e il perfezionamento delle macchine e l’ottimizzazione delle fasi di lavorazione. Ciò comporta la riduzione della parte retribuita del tempo di lavoro e aumenta la parte non retribuita (pluslavoro), che il capitale si appropria gratuitamente. Il risultato è non è solo una sperequazione ulteriore tra lavoro retribuito e non retribuito, ma un prolungamento del tempo di lavoro assoluto della giornata di lavoro complessiva.

Viene così sempre più evidenza una tendenza che porta in sé il germe della dissoluzione del capitale quale forma dominante della produzione, essendo il capitale stesso la contraddizione in processo. Quando si pone il tempo di lavoro come unico elemento determinante della produzione, in quanto fondamentale per la produzione di plusvalore e dunque per valorizzare il capitale, il capitale stesso è costretto (con l’assorbimento progressivo di conoscenze scientifiche e applicazioni tecnologiche) a ridurre il lavoro produttivo a proporzioni sempre più esigue rispetto alla massa del capitale impiegato.

Nei suoi effetti viene in evidenza un altro aspetto contraddittorio e che è già presente in nuce nel modo di produzione capitalistico, ossia l’opposizione tra la natura sociale della produzione e il carattere privato dell’appropriazione del frutto di tale produzione. E qui lasciamo che i moralisti di ogni risma s’indignino e predichino pure le loro misure di riforma e di “decrescita” quale risoluzione di contraddizioni che agiscono con la forza di leggi di natura, ossia che, data la loro posizione ideologica fondamentalmente borghese, guardino agli effetti e non alle cause.

A me, invece, interessa sottolineare, in altre parole ancora, come si manifesti sempre più evidente che la sottomissione del processo di lavoro alla produzione di plusvalore, fatto reale, non regge più (risultato storico), e poiché il processo lavorativo nel modo di produzione capitalistico si presenta solo come mezzo per il processo di valorizzazione, ne consegue che tale contraddizione tende a divaricarsi sempre più.

E allora che succede? Ce lo dice Marx e lo conferma la realtà storica e quella che abbiamo sotto gli occhi (ma che non tutti vedono per ciò che è):


«A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione». 

E ora avanti ancora con Cancellieri, le primarie, la Merkel e blablabla.

8 commenti:

  1. Il fatto è che adesso non arriva proprio il concetto del "plusvalore estorto", ma il "dogma" assoluto è quello del "valore" creato nella circolazione, cioè nel mercato delle merci, col gioco della domanda e dell'offerta con tutto il contorno di spiegazioni sulla scarsità, il "soggettivismo psicologico" (l'inesistenza delle classi sociali, si direbbe della Storia tout court...) , l'"utilità marginale", roba ereditata in qualche modo dalla scuola austriaca di Böhm-Bawerk & C., Böhm-Bawerk che di suo cercò di smontare il lavoro di Marx con la sua opera Karl Marx and the Close of His System con le sue presunte contraddizioni tra libro terzo e libro primo del Capitale.
    Il lavoro nell'analisi economica di questi economisti non è "centrale" e il "valore" in pratica "non esiste" prima della circolazione.
    Diciamo pure che in fondo l'analisi economica non è fondamentalmente "progredita" dalla fine dell'Ottocento ad oggi.
    Saluti,
    Carlo.

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  2. Precisa come un metronomo. Ecco perché vengo sempre qui, per non perdere il tempo.

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  3. Post così luminosi mi aiutano molto nella comprensione dei cap. 13, 14 e 15 del Libro Terzo. Grazie.

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  4. a prescindere dai politicanti italiani, che sinora, da buoni servi neo-repubblichini, non han capito un tubo, perchè lei non riesce a vedere (cosi credo io) la attuale crisi del capitalismo, strutturale, e speriamo definitiva, nella CONCORRENZA tra produttori capitalisti? perchè non ci parla di questa concorrenza, che è il motore di ricerca del cosidetto sviluppo, della tecnologia intendo in primo luogo, che ci ha portato al livello di vita attuale (nel bene e nel male)? il capitalismo nasce ed è concorrenza, la quale, applicata alla produzione di merci, lo ha portato all'attuale situazione. sinora gli unici che han scritto al meglio sull'attuale crisi capitalista, e sue eventuali soluzioni, sono due studiosi tedeschi dell'economia, ernst lohoff e norbert trenkle, del gruppo krisis, un gruppo marxista che in germania poco ha a che fare con spd, verdi, die linke. il libro è: "die große entwertung", editrice : unrast verlag, 48043 münster. i mercati sono saturi, il capitale siede su migliaia di miliardi che perdono sempre di valore, per cui si organizzano i tavoli delle scommese, volgarmente detti mercati finanziari, per saccheggiare la richezza dei popoli e delle nazioni. il POTERE TEDESCO ha iniziato il saccheggio già dalla fine degli anni settanta, grazie ai molti neo-repubblichini sparsi per l'europa. come andrà a finire? bella, la domanda, vero?
    franco valdes piccolo proletario di provincia

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