sabato 7 settembre 2013

Per chi suona la campana?


Sono trascorsi più di due secoli dalla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, in cui si proclamavano i principi di libertà, di uguaglianza e fraternità. Ovunque ci si volga con lo sguardo, poi non si può non chiedersi che fine abbiano fatto quelle enunciazioni così solenni. E vediamo altresì molto bene che esse sono annegate nell’impostura e nell’ipocrisia generalizzata, soprattutto di quelli che elencano le magnifiche sorti e progressive dell'attuale società.

Non è venuto il momento di chiederci se tutte le nostre disgrazie non abbiano una causa comune?

Se a qualcuno sembrerà che io sia troppo pessimista, non è con me che se la deve prendere ma con gli avvenimenti, i quali non hanno cura di mostrarsi sempre peggiori. Del resto, coloro che per posizione e maggiore responsabilità hanno compromesso la civiltà umana e la natura, sono disposti a tutto pur di non dichiarare il proprio fallimento.

In una situazione del genere è normale che l’umanità dubiti di se stessa e del proprio avvenire. Simili circostanze offrono le occasioni migliori perché dei leader politici mediocri, cristiani di dubbia moralità, intraprendano le imprese più nefaste facendole passare per doverose opere di bene, sacrifichino la nostra libertà in nome della sicurezza (dei grandi interessi), facendoci perdere in tal modo la nostra libertà e la nostra sicurezza (entrambi molto relative e precarie, peraltro).



Ho scritto che per quanto riguarda il prossimo conflitto mondiale non è questione di “se”, ma di quando e di come. Non è nemmeno questione di calcolo probabilistico, si tratta bensì di considerare che in ogni situazione storica in cui si siano accumulate simili contraddizioni, l’esito è sempre stato immancabilmente la guerra e con essa spesso anche il collasso di civiltà.

Perciò è importante stabilire che senza un mutamento radicale dell’odine sociale esistente, sarà inevitabile la catastrofe. Questo cambiamento dello stato delle cose presenti non può essere altro che un ordine sociale assolutamente diverso dall’attuale, laddove la produzione sociale sarà regolata secondo un piano e degli scopi, in un àmbito di cooperazione universale fondato sull’uguaglianza sociale e l’impiego razionale delle risorse.

C’è chi sostiene che ciò sia utopia, e ci sono anche quelli che per interesse sostengono che un sistema sociale del genere sarebbe un abominio, che questo sistema ci garantisce un progresso fatale e infinito, semmai sarebbe necessaria qualche riforma, magari più stringente verso il lavoro.

A questi ultimi non è necessario dire nulla, poiché sono proprio loro a rappresentare quegli interessi di classe sui quali poggiano le più divaricanti contraddizioni. Ai primi, invece, a quelli che sostengono che il comunismo è un’utopia, segnalo che essi si comportano come quei passeggeri di un aereo che inesorabilmente sta precipitando e si rifiutano di lanciarsi nel vuoto con un paracadute adducendo a motivo che l’uomo non può volare per elementari leggi fisiche.

È vero che l’uomo non può di per sé volare, che questo sogno millenario ha trovato un ostacolo nelle leggi della natura; tuttavia l’uomo ha saputo impadronirsi della conoscenza di queste leggi, e nella possibilità legata a questa conoscenza ha trovato il modo di creare i mezzi che gli consentono di volare come e meglio degli uccelli, e di arrivare – per il momento – fin sulla Luna.


E voi dite che non possiamo trovare il modo per produrre, distribuire, consumare e condurre la nostra vita secondo criteri di razionalità e sulla base di valori umani autentici, e che viceversa dobbiamo all’infinito dipendere da degli sfruttatori e dagli imbecilli al loro servizio? 

1 commento:

  1. Io non lo dico («che non possiamo trovare», ecc.), e mi sento anche pronto, ma occorre che questo "noi" prenda in fretta coscienza dello stato di cose presenti, si unisca e necessariamente combatta per provare a volare - altrimenti resteremo rasoterra, come gli struzzi (e meno veloci).

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