sabato 29 giugno 2013

Accalappiati



L’idea di considerare legittimo e normale (senza virgolette) l’unione e la convivenza di coppie dello stesso sesso, è nella nostra epoca un fatto assai recente. Dichiararsi a favore o contro questo tipo di unioni, ha poco senso. Piuttosto c’è da chiedersi per quale motivo si mostri ora questo fenomeno sociale e diventi così frequente.

Anche la questione, la diatriba, tra favorevoli e contrari al matrimonio di queste coppie, non ha senso se non in chiave moralistica e polemica. Piuttosto c’è da chiedersi per quale motivo il riconoscimento dell’istituto matrimoniale a queste coppie stia prendendo piede nelle legislazioni di paesi laddove più avanzato risulti lo sviluppo economico e sociale.

Chi afferma di essere contrario al riconoscimento dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali e lesbiche, ma favorevole al riconoscimento legale di queste unioni, è, a mio modo di vedere, in palese contraddizione. Tra il matrimonio e le cosiddette unioni civili alla “tedesca” vi sono poche differenze e solo una certa ipocrisia o gradualismo politico impedisce di stabilire già ora – con escamotage pretestuosi – l’equipollenza giuridica della medesima forma di unione. Si tratta dunque di una distinzione che non tarderà a scomparire anche sotto il profilo normativo.




La contrarietà al riconoscimento dell’istituto matrimoniale tra coppie dello stesso sesso trova motivazione, fondamentalmente, sull’assunto che “per millenni il matrimonio è stato l’unione tra un uomo e una donna”. Si potrebbe discutere a lungo su questo tema, e però su tale stravagante premessa vorrei fare solo un cenno richiamandomi ad un’obiezione che già altri hanno posto con fondatezza.

Anche l’istituto della schiavitù è stato in auge per millenni e tuttavia non può essere l’appello alla sua “tradizione” un motivo sufficiente e razionale per rivendicarne il mantenimento nelle antiche forme (discorso che vale – rilevo incidentalmente – anche per il moderno lavoro salariato inteso come traguardo storico giudicato definitivo). Tale obiezione, a mio avviso, va però sviluppata sotto il profilo storico poiché essa non è disgiunta da un’altra questione, quella che riguarda non già la rivendicazione di estensione dell’istituto matrimoniale, bensì e per opposto, la crisi di tale istituto quale oggi si evince.

Non è forse singolare e paradossale che proprio quando l’istituto matrimoniale tradizionale entra in crisi, si assista invece alla rivendicazione da parte dalle coppie omosessuali del riconoscimento dello stesso istituto e dei conferenti diritti?

I due fatti vanno a mio avviso interpretati in parallelo, poiché rinvengo nella contraddizione le medesime cause sociali. Vorrei accennare solo al fatto che il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte di quello maschile. Chiaro dunque che la monogamia – l’unione matrimoniale tra uomo e donna – fu un grande progresso storico, ma contemporaneamente, accanto alla schiavitù e alla proprietà privata, schiuse – per dirla con Engels – quell’epoca che ancora oggi dura per molti aspetti e nella quale ogni progresso è a un tempo un regresso.

La crisi dell’istituto matrimoniale e della famiglia tradizionale sono il portato – dico cosa risaputa – dei grandi cambiamenti economico-sociali avvenuti specie nell’ultimo mezzo secolo, laddove la donna s’è emancipata rispetto all’antico ruolo di fattrice, di serva e di amministratrice domestica, e ha così visto riconosciuti diritti che per secoli sono stati prerogativa assoluta del maschio. La modificazione dei ruoli e dei costumi, compresi quelli sessuali, ha fatto il resto. Perciò si parla anche di crisi d’identità del maschio e altre mene del genere.

Questi mutamenti hanno comportato conseguentemente la sostanziale modificazione del ruolo della famiglia quale luogo di riproduzione della forza-lavoro, quindi quale cardine della proprietà privata e caposaldo di stabilità sociale. Il capitale, la società borghese, per raggiungere i propri scopi non ha più bisogno di mantenere in vita i vecchi istituti sociali, e poco gl’importa se ad accudire la prole è un maschio e la moglie lavora. Così come nulla importa più se nel divenire della crisi sociale a inculcare nella coscienza del futuro schiavo i codici dispotici della sottomissione sono due maschi sposati legalmente anziché dei genitori tradizionali.

Così come è sempre esistita la comunanza delle donne, celata dal matrimonio, allo stesso modo è sempre esistita una “devianza” sessuale proibita per legge e assai riprovata socialmente a far data dal cristianesimo. Se essa ora non è più perseguita legalmente e viene allo scoperto trovando anzi giusti motivi per delle rivendicazioni sul piano dei diritti e delle equiparazioni, è normale sul piano dello sviluppo storico-sociale. Sul fatto che questa “devianza” sessuale si diffonda, ciò dipende poi anche da altre cause di cui non ho qui alcun interesse a occuparmi.


Concludendo, gli omosessuali e le lesbiche, chiedendo il matrimonio, non chiedono semplicemente il riconoscimento di taluni diritti, chiedono di far parte a pieno titolo di questo sistema e delle sue gerarchie. Diventando “normali” entrano a pieno titolo nel dramma sociale della programmazione fabbricata dal capitale.

6 commenti:

  1. Grande post che coglie l'essenza del fenomeno.

    Sono cose diverse, ma il tambureggiante riconoscimento sociale dei diritti degli omosessuali - sacrosanti, intendiamoci - , la riconversione di parte della filiera produttiva dal target famiglia a quello "single", e il dilagare del lavoro domenicale e festivo alla faccia dei pigolii di qualche vescovo sono tutte testimonianze del plateale disinteresse - nonostante la destra se ne riempia la bocca per motivi politici - del capitalismo nei confronti delle cosiddette tradizioni, religiose o laiche che siano. Ogni e qualsiasi sovrastruttura storica e insieme di credenze può tranquillamente dissolversi, a condizione che la struttura non venga alterata e che il cambiamento torni in qualche modo a vantaggio del sistema.

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  2. noto che siamo tutti molto attenti a questo passaggio "retorico" del matrimonio gay. Forse questo ci consentirà di porre anche più di qualche dubbio sulla articolazione di senso che finora ha connotato la sinistra, la sua retorica e la sua pratica civile e sociale, oltre che naturalmente politica.

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    1. esattamente nel quadro di tutto il resto, certo. un bel pantano

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  3. Con le ultime due righe hai spiegato quello che centinaia di trasmissioni televisive e decine di libri non hanno saputo fare. E' questa la tua sapienza. E lo è!

    Osservando il fenomeno dal punto di vista ideologico mi interrogherei quanto fa Mario di sopra e aggiungo: essendo la "legge e ordine" una "prerogativa" della destra, tanto per difendere la propria incapacità d'interpretazione e soluzione dei fenomeni sociali quanto per la dottrina stessa (se così si può chiamare), la sinistra (se anch'essa così si può chiamare) sembra che non abbia meglio da fare.

    Invece non è così, non esiste una destra e una sinistra, ma esistono soltanto donne e uomini indottrinati, mentre alcuni di loro conservano quanto ereditato o fortunatamente ricavato e altri che vorrebbero far parte di tali fortune. I primi si definiscono di destra e i secondi di sinistra.

    Sembra quasi che se la premessa fosse quella di una redistribuzione che impoverisce il massimale della fortuna acquisita non ci sarebbe alcuna sinistra in quanto non vi sarebbe più nulla a cui ambire. Che basterebbe poi molto poco per accorgersi che il matrimonio come istituzione va rivisto in sé e non tanto se sia un privilegio per taluni soggetti, come anche, generalmente parlando, tutto il carrozzone di 100.000 leggi e regolamenti fatti per un'unico scopo, quello di escludere gli ultimi arrivati, come è anche il caso degli omosessuali.

    Saluti Olympe e continua così.

    ...che la sinistra sia con te! :D

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  4. Ottimo articolo che evidenzia la funzionalità del matrimonio al sistema padrone - schiavo. Il matrimonio è la cellula staminale della schiavitù, l'humus in cui cresce e si riproduce lo schiavo, la gabbia in cui riprodurre "comodamente" la forza lavoro come polli in batteria, il magazzino /fabbrica di pezzi di ricambio dei replicanti umanoidi robot. L'emancipazione agognata dagli omosessuali è come la richiesta di poter colorare come si vuole le sbarre della propria cella. Siamo nati schiavi. Siamo solo robot. Incapaci di essere liberi. Esecutori di un sistema operativo sconosciuto. Un mondo in cui è sempre la forza bruta, di qualsiasi tipo ed in qualsiasi forma, a dettare legge. Ciao

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