lunedì 20 maggio 2013

Orientamenti storiografici



Premetto che personalmente non ho alcuna sorpresa nel considerare la deriva della così detta sinistra radicale, di quei partiti e movimenti politici che si richiamano almeno nominalmente alla sinistra, alla libertà, all’ecologia, e finanche ancora al comunismo. Non mi stupisco quindi se certi personaggi di prestigio sono stati iscritti al Pci e poi candidati alle elezioni nelle liste dei Comunisti italiani di Cossutta pur esprimendo posizioni agli antipodi dalla tradizione e dagli ideali della sinistra e del marxismo.

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Premetto altresì che non ho alcuna sorpresa nel considerare il successo di pubblico non solo per certa letteratura d’evasione, ma anche per certa saggistica storica. Più che capire, è diventato importante leggere, aver commercio con molti libri. Spesso gli autori più celebri e affaccendati usano avvalersi dei ghost writer, e ciò non è un male assoluto quando si tratta di narrativa, succedeva a Dumas, tanto per citare; e pazienza anche se si scrive a numero e peso, succedeva anche al povero Salgàri. Diverso il mio giudizio quando si tratta di saggistica, ossia quando la divulgazione diventa non solo un affare di smercio editoriale, ma un lavoro scientifico di “orientamento” ideologico mascherato.


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Scrive Luciano Canfora a p. 54 della sua Intervista sul potere (Laterza 2013), rivolto all’intervistatore:

«Pensa di certo al fallimento dell’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. Il gruppo comunista torinese dell’Ordine Nuovo sperava che ne sarebbero nati i soviet italiani. Invece non c’è alcuno sbocco rivoluzionario, gli operai lasciano le officine e poi s’impone in pochi anni la dittatura fascista: la dittatura fascista: una terza via che riesce a tendere insieme, con un consenso innegabile, le forze sociali, proletariato e borghesia, che si erano violentemente contrapposte dopo la Prima guerra mondiale senza avere la capacità di prevalere l’una sull’altra».

Un appunto solo per ciò che riguarda la “terza via che riesce a tendere insieme, con un consenso innegabile, proletariato e borghesia”. La fine dell’occupazione delle fabbriche, come dice Canfora, è del settembre 1920, la marcia su Roma di oltre due anni dopo, la dittatura formalmente del 1925. Come ci si è arrivati al “fallimento” e alla dittatura, con la semplice fine dello sciopero del settembre 1920?

Il 20 febbraio 1919 si era raggiunto un accordo con l’Associazione industriali dei metalmeccanici che prevedeva la riduzione di orario a 8 ore giornaliere e 48 settimanali, il riconoscimento delle commissioni interne e la loro istituzione in ogni fabbrica; la nomina di una commissione per il miglioramento della legislazione sociale e di un’altra per studiare la riforma delle paghe e del carovita.

Ma l’ala più oltranzista del padronato comincia a cercare la prova di forza contro gli operai e il sindacato. La trova nell’agosto del 1920 quando la trattativa per il miglioramento delle condizioni di vita dei metallurgici viene interrotta e cominciano le serrate. La risposta operaia è l’occupazione delle fabbriche che coinvolge più di 400mila metallurgici e altri 100.000 di altre categorie. Momenti di tensione,  alcuni dei quali sfociano in autentiche battaglie in cui si contano morti e feriti.

Questi fatti precedono l’accordo del 19 settembre 1920. Le fabbriche tornano alla normalità nei giorni seguenti, avendo ottenuto il riconoscimento del controllo operaio nelle fabbriche, aumenti salariali, 6 giorni di ferie pagate, miglioramenti per gli straordinari e il lavoro notturno.

Domando: di quale fallimento si tratta? Non erano nati i soviet italiani, ma su questo punto credo fossero in pochi a farsi illusioni. Erano stati ottenuti però dei miglioramenti significativi. La fase di lotta si chiudeva dunque nel settembre 1920. La marcia su Roma è della fine d’ottobre del 1922. Cos’era avvenuto nel frattempo? Assalti squadristi alle camere del lavoro, alle sedi del Partito socialista, alle redazioni dei giornali di opposizione, pestaggi, omicidi, raid squadristici.

I padroni, industriali e agrari, non ci stavano, volevano imporre il loro ordine. Infine fu la neonata Confindustria e i grandi proprietari agrari a finanziare il fascismo e segnatamente la marcia su Roma. Ben vista, come ho mostrato in un recente post, dal Vaticano per motivi prevalentemente finanziari. Furono queste forze che indussero il Re a non firmare lo stato d’assedio.

Quanto all’innegabile consenso, è bene chiarire con dei numeri eloquenti. I fascisti alle elezioni del 1919 non avevano preso nemmeno un seggio, perfino Mussolini era stato trombato a Milano. E nel 1921, cioè l’anno dopo i fatti narrati da Canfora, i fascisti ne avevano ottenuti pochi di seggi e solo nelle liste dei liberali di Giolitti (blocchi nazionali): 35 su 530.

Di quale innegabile consenso parla dunque Canfora? Il consenso, quello di massa almeno, arrivò molti anni dopo, con la dittatura, la propaganda e la manipolazione. Dopo la legge elettorale Acerbo (1924), dopo l’omicidio Matteotti, dopo il 18 brumaio 1926 quando fu approvato dalla Camera l’ordine del giorno di Augusto Turati, che decretava la decadenza dei deputati aventinisti e comunisti, in seguito alle leggi fascistissime e ai tribunali speciali, ecc.. Non per nulla Renzo De Felice colloca la fase del consenso un quindicennio dopo i fatti narrati da Canfora.

Conto di ritornare nei prossimi post sul modo disinvolto del professor Luciano Canfora di raccontarci la storia. Ad alcuni lettori forse non interesserà l’argomento, ma non è questo genere di lettori ai quali mi rivolgo. 

8 commenti:

  1. Letto con interesse le tue controargomentazioni, indiscutibili, solo che mi domando che interessa abbia uno studioso come Canfora a proporre una lettura di quegli eventi in quei termini. Necessità di far confluire dei fatti e dati storici a delle letture contestuali dell'epoca molto soggettivistiche per operare dei parallelismi politici con l'oggi? Non ho letto il libro, limite enorme, tuttavia questa domanda, come si suol dire, mi sorge spontanea.

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    1. si tratta di un'ottima domanda e non solo perché è la domanda chiave che anche io mi pongo. cercherò di rispondere in un prossimo post. al momento, con il libro ancora in mano, posso porre altre domande che alludono a delle risposte: perché Canfora non menziona la crisi economica degli anni trenta, perché non tratta della crisi attuale (la cita, la cita semplicemente e incidentalmente a p. 240)?

      Ovviamente ho un'idea del perché. perciò al prossimo post sull'argomento.

      ps. il libro è interessante e stimolante, Canfora non è un rappresentante del pensiero borghese qualsiasi. ed è un abile mistificatore. abilissimo.

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  2. Argomento interessantissimo, altroché!


    Hans

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  3. Non perdo neanche un post! :-)
    (Ma in questo periodo li ho letti con qualche giorno di ritardo, concentrandoli per lo più la domenica)
    Hans

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  4. Sì, c'è una volonta ben precisa di rappresentare la storia del comunismo come fallimentare. Anche per la storia dell'Urss, un paese che in 30 anni, nonostante due guerre mondiali, milioni di morti, una sciagurata dittatura diventa un paese pienamente industrializzato e alfabetizzato. Se il capitalismo avesse raggiunto in America latina e in Africa ciò che il criticabilissimo e sciaguratissimo sistema sovietico ha fatto a parità di condizioni...

    Ps ti si legge sempre anche se non sempre si ha tempo per lasciare un commento anche breve.

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    1. di notte bisogna scrivere i commenti se necessario!!!!!
      ciao

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