sabato 18 maggio 2013

Divagazioni sul Chaco



In un’epoca in cui l’antagonismo tra borghesia e proletariato, tra capitale e lavoro, non si era ancora pienamente sviluppato, e, anzi, in un’America Latina nella quale tale moderno antagonismo era ancora sconosciuto, si sperimentò un modello di socialismo sui generis, uno strano tipo di società contadina e artigiana nelle missioni dei preti gesuiti, note anche come reducciones, piccole comunità indipendenti sia a livello economico che politico abitate da “indiani” convertiti.

In tali comunità la proprietà della terra e dei mezzi di produzione era collettiva, laddove i gesuiti godevano un’autonomia quasi totale nei confronti delle autorità locali civili ed ecclesiastiche, e detenevano il potere più importante della colonia. È questo il caso per esempio delle reducciones con sede nell’odierno Paraguay.



All’immaturità delle condizioni economiche e della posizione delle classi sociali, corrispondeva un tentativo, come detto, di socialismo su base teocratica. In tal modo la soluzione delle questioni sociali, che restava ancora celata nelle condizioni economiche poco sviluppate, veniva impostata sulla scorta di idee di uguaglianza mutuate dal Vangelo cristiano. Questo modello di ordinamento sociale era condannato al fallimento non appena si fossero sviluppate le forze produttive e le forme di scambio, oppure, come avvenne, non appena tale autonomia si fosse scontrata con gli interessi  dei colonizzatori iberici.

Del resto, l’approccio di tipo comunistico non può essere altro che utopico, almeno fino a quando la produzione capitalistica è così poco sviluppata come in quei secoli. Gli elementi della nuova società, così come idealizzata da quei gesuiti, oppure in seguito da Saint Simon, Fourier o Owen, non sorgevano dallo sviluppo della stessa società, ma erano tratti da idee che, nello scorgere l’ingiustizia, l’irrazionalità e l’inadeguatezza degli ordinamenti vigenti, alimentavano quella stessa utopia.

Gli utopisti ignoravano ancora il nesso storico che lega il mutamento effettivo degli ordinamenti e lo sviluppo delle condizioni oggettive che presiedono la trasformazione sociale. Solo con la concezione materialistica della storia, ossia partendo dal principio che la base di ogni ordinamento sociale è la produzione e lo scambio dei suoi prodotti, tale nesso sarebbe stato posto in chiaro; e, conseguentemente, che le cause – per dirla con Engels – di “ogni mutamento sociale e ogni rivolgimento politico vanno ricercate non nella testa degli uomini, nella loro crescente conoscenza della verità eterna e dell’eterna giustizia, ma nei mutamenti del modo di produzione e di scambio” (*).

* * *

Lo spunto per queste considerazioni mi è stato dato da un documento televisivo di qualche giorno fa (Rai storia) relativo alla condizione degli Ayoreo, una popolazione di cacciatori e raccoglitori che una cultura di semi nomadismo porta a spostarsi in un’estesa zona del Chaco (una regione che interessa parecchi stati dell’America Meridionale e della quale ho già avuto modo di dire in altro post).

Nel loro habitat originario, protetto dal bosco spinoso impenetrabile del Chaco, dove per nove mesi l’anno non cade la pioggia, sono riusciti per molti secoli a restare immuni dalla penetrazione di colonizzazione, almeno fino a quando, nel 1947, sono stati raggiunti dalla “civiltà”, ossia per iniziativa di alcuni missionari evangelici (sono come le piattole), i quali hanno loro imposto di dimenticare tutto ciò che concerne la loro antica sapienza e religiosità. Ad oggi, diceva il documentario, solo il 3% del territorio è rimasto disponibile per queste popolazioni, il rimanente, ossia la quasi totalità, è stata recintata diventando proprietà privata.

Ed è così, intrecciando dati relativi agli indios sudamericani, all’utopia socialista, alla Storia del Paraguay, che rilevo come su Wikipedia, per quanto riguarda la storia del Paraguay, il nome di José Gaspar Rodríguez de Francia, compare, non nel paragrafo relativo alla storia del paese, ma in quello sulle “etnie”, e solo per dire di una sua legge sul matrimonio, peraltro senza dire in quale veste egli la promulgò. Un po’ come se Cavour nella storia moderna d’Italia fosse ricordato meramente per una legge sull’importazione del carbone. Oppure, si citasse Mussolini per l’imposta sui celibi, o ancora De Gasperi per una norma sui dazi doganali. Un motivo forse c’è per questo silenzio su un personaggio politico così controverso e a suo modo straordinario come de Francia.

Quando crollò l'impero coloniale spagnolo nel 1811, il Paraguay dichiarò la sua indipendenza. Il paese venne diretto da un avvocato, José de Francia per l’appunto, il quale restò al potere fino alla morte, nel 1840. Proclamò una politica di autarchia (con risorse proprie al fine di ridurre al minimo la dipendenza da fattori esterni), di confisca delle terre ecclesiastiche che divennero di proprietà pubblica e distribuita ai contadini. Francia rilanciò parzialmente l'idea dei gesuiti, ma senza sfumature religiose. Al centro dell'economia fu posta la proprietà pubblica e di piccole imprese private. Il risultato fu la creazione di un settore industriale statale forte, realizzando l'unione delle classi lavoratrici e della piccola borghesia, fatto impensabile per i primi anni del XIX secolo. La povertà fu eliminata e la criminalità praticamente eliminata. L'istruzione fu gratuita, così come l’assistenza medica, le tasse basse e furono istituiti banchi alimentari sociali. Il Paraguay divenne il paese più dinamico e sicuro del Sud America.

Chiaro che questo stato di cose non poteva durare dopo la scomparsa di de Francia. Le borghesie delle nazioni limitrofe non potevano tollerarlo, preferiscono la carne india al sangue, perciò si unirono per distruggere l'incarnazione materiale di queste pur blande idee socialiste.


(*) MEOC, XXV, p. 256.

1 commento:

  1. molto interessanti queste rivisitazioni storiche perche' ci servono a capire la complessita' ( e forse anche l' irrisovibilita') delle questioni sociali che nascono dall' organizzazione dell' economia.
    In merito io ho il sospetto che la soluzione " socialista", un sogno sempre rilanciato dalla costatazione dell' ineliminabile ingiustizia sociale dell' organizzazione capitalistica , sia sempre destinato a soccombere proprio per le stesse ragioni con cui ebbero la peggio gli " esperimenti" paraguayani; cioe' l' incapacita' di un sistema socialista a mobilitare le proprie risorse umane , che sul sul lungo periodo finiscono troppo depresse dallo staticismo e dal verticalismo di ogni organizzazione "socialista".

    La questione purtroppo rimane sempre aperta , e comunque dalla storia mi pare che efficacia migliore abbia sempre avuto una soluzione capitalistica sottoposta ad uno stato basato su principi socialisti ; grossomodo la "strada svedese" perseguita anche dall' ultimo (sedicente :-) ) comunismo cinese.
    Di questi esperimenti non c' e' certezza che essi poi non tralignino ( come in parte appunto in svezia) ma di sicuro essi conseguono stabili modifiche "socialiste " su di un lungo periodo,in ogni caso ben piu lungo di quelli " paguaiani" e " sovietici".
    ws

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