venerdì 12 aprile 2013

Cenni sul metodo




Questo post è dedicato, in particolare, a Massimo e a tutti i lettori curiosi di questo blog.

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Monta l’angoscia e la disperazione, si diffondono come contagio. Se le cose continueranno così, anzi, se andranno in peggio come tutto lascia credere, tra un poco tutte le chiacchiere su questo e su quel dettaglio politico, istituzionale e perfino economico cesseranno per lasciare posto ad altro, cioè a una questione che riguarda sì la politica e l’economia, ma da un punto di vista diametralmente opposto al disbrigo attuale. O forse no, potrebbe anche succedere, vedi il caso, che qualcuno, invece di parlarci dal balcone, insulti la nostra intelligenza dal monitor. E noi ad applaudire con un clic.

Ma facciamo i debiti scongiuri e andiamo al dunque. Si tratta – dicevo – di una questione di importanza fondamentale che investe tutto il sistema e si pone con forza, una questione che il potere con la complicità dei media non sa più come mascherare sciorinando decine di vecchie e risibili proposte spacciate per nuove.



Siamo a un cambio d’epoca di quelli che lasciano segni indelebili e possono far molto male. Mi pare che tutti l’abbiano scritto alla noia, ma dubito che ne abbiamo tratto le debite conseguenze. Invece continuiamo a parlare di nuova lira sì oppure no, di euro di prima o seconda categoria; di quanto è stronza la Merkel che deve acchiappare il voto dei mastri birrai a settembre; dello stipendio di questo e di quello, dei privilegi e degli sprechi che gridano vendetta. Perché prima non c’erano? Ce ne importava poco o niente. Come si dice? Sapevatelo!

Nella sua sostanza non è questione nuova, e tuttavia questa non è scusa per ignorarla. È una questione caparbia e chiede risposte declinate al presente, non al passato. È l’unica questione alla quale dovremmo cercare realmente di dare risposte. Eppure, semplicemente, l’abbiamo rimossa da così tanto tempo che nemmeno ci si ricorda per quali motivi i nostri ascendenti l’avessero posta. Frega niente, la questione sta sempre lì e aspetta uguale.

In sintesi, è presto detta: questo sistema è capace di garantire la nostra esistenza e a quali condizioni, di libertà o di schiavitù e coazione? Hic rhodus, hic salta.

La caduta tendenziale del saggio del profitto alla quale i rimedi antagonistici ormai fanno l’effetto di un placebo. La pauperizzazione assoluta che comincia a fare capolino anche dove sembrava sconfitta. Una gestione politica che ci spoglia delle conquiste sociali. Il sequestro di beni comuni, la natura esaurita e devastata. La piccola proprietà privata dialetticamente confiscata dal monopolio. Un’oligarchia finanziaria che tiene in proprio possesso un capitale che giudica poco fruttifero investire nel settore produttivo peraltro intasato. Eccetera.

Queste sono solo alcune delle più controverse contraddizioni analizzate scientificamente da Marx e che troviamo verificate ad ogni passo. Qualcuno sostiene che non ci possiamo far niente, che il processo è ineluttabile, come fossimo una colonia di topi, o all’età del bronzo, la prima grande rivoluzione economica internazionale. Così la storia si ferma in prima media.

* * *

Marx ha scoperto le leggi che muovono il modo di produzione capitalistico. Non le leggi di ieri, ma le leggi di sempre, immanenti. Del sempre relativo a questo modo di produzione, s’intende. Se per caso qualcuno crede ancora che Marx parlasse dell’Inghilterra dell’800, lo informo che gli hanno mentito per truffarlo meglio. Vediamo di chiarire per quel poco che mi riesce e in breve.

La legge non descrive il movimento della realtà immediata (le singole casualità), ma piuttosto cerca di coglierne, al di là appunto delle forme, la sua “bronzea” necessità. Il fenomeno (il possibile che non accade per necessità, ma in modo assolutamente casuale) è sempre più ricco della legge, e ciò è dovuto al fatto che la legge si riferisce solo ai rapporti necessari, generali, stabiliti, essenziali, tra i lati di un fenomeno o tra fenomeni. Mentre a determinare un fenomeno concorrono sempre, incrociandosi con le sue leggi generali, molte altre leggi particolari (1).

Così come il concetto, anche la legge è uno strumento necessario del pensiero per appropriarsi il concreto, per riprodurlo come “concreto di pensiero”. Come il concreto e le altre categorie, anche la legge è reale in senso mediato, e cioè riflette mediamente la realtà oggettiva. L’interconnessione e l’interdipendenza delle categorie nel pensiero riflettono, ricostruendola, l’interconnessione e l’interdipendenza degli enti materiali esistenti oggettivamente, e cioè fuori della coscienza.

Tutto ciò, e altro ancora, costituisce il metodo di studio marxiano chiamato materialismo dialettico. Perciò Marx non aveva alcun bisogno di scrivere una propria “Logica”; il suo metodo dialettico, riposto con i piedi per terra e non a testa in giù, è vivo e operante nella sua produzione scientifica (2).

Marx, di conseguenza, per costruire il modello dinamico del modo di produzione capitalistico non si accontenta di descrivere la genesi, lo sviluppo e la forma più avanzata, a lui contemporanea, di tale modo di produzione; bensì va a ricercarne le leggi generali e le tendenze necessarie (3).

Sui concetti di legge e di tendenza (qui appena accennati) occorre essere precisi (in questi giorni le circostanze mi portano a riprendere in mano cose lontane e dimenticate nel dettaglio), poiché si tratta di strumenti essenziali per l’elaborazione di un’immagine scientifica della realtà.

Sono questi gli strumenti che consentiranno a Marx le più ardite operazioni del pensiero; gli consentiranno, cioè, di spingersi per via analitica fino agli estremi limiti del modo di produzione capitalistico, oltre i quali si spalanca la breccia di una discontinuità qualitativa epocale e, a partire da lì, riguardare con occhi nuovi, e secondo nuove prospettive, anche il presente!

Avvertenza: il corpus dei concetti e delle leggi che definisce un modello teorico riflette anch’esso solo in senso mediato il suo oggetto reale. Altrimenti si rischiano errori dogmatici e incomprensioni.

È proprio questo che interessa a Marx: estrapolare delle leggi generali del divenire del suo oggetto di tendenza, cioè il modo di produzione capitalistico; simulare concettualmente, secondo procedure dialettiche (logiche e/o matematiche), il loro movimento intrinsecamente contraddittorio (divaricantesi), per carpire al futuro la loro forma divenuta.

E questa “forma divenuta” non è semplicemente, come potrebbe apparire, la piena maturità della tendenza (4), ma piuttosto è il suo rovesciamento dialettico, il suo essere divenuta, a causa delle sue contraddizioni, “qualcosa d’altro”.

Il modello teorico di Marx tende così fino a riconnettere, in una dialettica troppo poco conosciuta, genesi-sviluppo-crisi del modo di produzione capitalistico e del suo superamento, sulla base delle latenze in esso maturate.

Nello stesso tempo, i risultati dell’esplorazione analitica marxiana, fissati nella modellizzazione del modo di produzione capitalistico divenuto, ci ritornano come previsione teorica e, dunque, come guida per l’azione.

La previsione teorica ci indica un possibile, ma il suo completarsi dipende dall’attività sociale degli uomini, dalla lotta di classe non meno che dalle circostanze storiche reali (5). Indicandoci un possibile per noi desiderabile, la previsione teorica influisce sulla nostra coscienza e sul nostro comportamento e sollecita un’attività conforme al suo conseguimento.

In un prossimo post vedrò di accennare alle differenze tra metodo logico e metodo storico e di rendere conto di uno degli errori più comuni, tra i tanti, del dogmatismo d’impostazione sia evoluzionistica e meccanicistica sugli schemi del “passaggio”. Prendete fiato.


(1) Per legge generale di un fenomeno d’intende la sua contraddizione principale espressa in categorie (ad esempio economiche) o simboli (ad esempio matematici) tra loro connessi secondo procedure logiche (o matematiche) materialistiche e dialettiche che ne spieghino il processo reale. Le leggi secondarie si riferiscono a contraddizioni secondarie.

(2) Nella lettera datata 16 gennaio 1858, Marx scrive all’amico Engels: Quanto al metodo del lavoro mi ha reso un grandissimo servizio il fatto by mere accident – Freiligrath trovò alcuni volumi di Hegel appartenenti a Bakunin e me li mandò in dono – mi ero riveduto la «Logica» di Hegel. Se tornerà mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di rendere accessibile all'intelletto dell'uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato. MEOC, XL, p. 273. Quindi, nelle intenzioni, Marx non si riferisce a una "sua" Logica, ma solo alla divulgazione, in poche pagine, del nocciolo razionale di quella di Hegel. Del resto Marx una critica all'hegelismo, per suo conto, l'aveva già scritta in gioventù. Per il resto aveva scritto: i filosofi finora hanno solo interpretato il mondo in modo diverso; si tratta di cambiarlo.

(3) Marx, dalla Prefazione al Primo Libro: “In sé e per sé, non si tratta del grado maggiore o minore di sviluppo degli antagonismi sociali derivanti dalle leggi naturali della produzione capitalistica, ma proprio di tali leggi, di tali tendenze operanti ed effettuantisi con bronzea necessità”.

(4) Per analisi della tendenza s’intende lo studio simulato della contraddizione principale come processo, e cioè la sua dialettica quantitativa e qualitativa, nei suoi diversi stadi: dall’inizio alla fine.

(5) Le circostanze storiche reali non permisero alle rivolte schiavili dell’antichità di raggiungere il loro scopo. Le circostanze storiche del capitalismo nella fase della sua crisi generale storica aprono la strada per la rivoluzione sociale. "La violenza – scrive Marx nel cap. 24 del Primo Libro – è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica". La borghesia, come classe sociale, in questo può esserci maestra!

Le classi sociali non appartengono a un “complesso naturale, ciecamente necessario, come ad esempio le specie animali di Darwin”. Se fose vero, la struttura sociale sarebbe perciò soggetta alle sole necessità naturali e nessuna azione cosciente sarebbe possibile o sufficiente a mutarla. Questa concezione nega anzitutto come la natura umana sia l’insieme dei rapporti sociali e poi, scendendo per li rami, nega validità alla lotta di classe, è foriera di grossolani fraintendimenti, è antimarxista e antirivoluzionaria, tipica del vecchio e nuovo materialismo riduzionistico esposto al naturalismo che afferma sostanzialmente una continuità tra il comportamento animale e quello umano, ossia in chiave biologica e naturalistica. Perciò tale concezione va non solo disattesa, ma combattuta. Una considerazione naturalistica del comportamento generale, del singolo e degli insiemi sociali, non tiene conto della differenza qualitativa della storia umana nei confronti di quella del mondo animale, ed essa è stata criticata da Engels in quanto riconoscerebbe che è “come se esclusivamente la natura agisse sull’uomo, ed esclusivamente l’ambiente naturale, in generale, condizionasse il suo sviluppo storico” e dimentica come “l’uomo esercita a sua volta un’azione nella natura, la modifica, si crea nuove condizioni di esistenza”. Anche chi crede, per contro, che il superamento del capitalismo sia lo sbocco necessario e non solo possibile della lotta di classe, è in errore. La lotta di classe è un possibile dato dalle circostanze storiche reali; quindi, dal lato della necessità, un completarsi, e, dal lato della teoria, una verifica della previsione.

9 commenti:

  1. Post molto complesso, Olympe, devo rileggermelo con calma. Grazie comunque per la passione che ci metti.
    Sulla questione naturalistica ho delle riserve, non tanto, ovviamente, sul fatto che l'uomo modifichi la natura (basta guardare fuori dalla finestra per convincersene), quanto sul fatto che certi meccanismi biologici abbiano smesso di influenzarci. E che la natura ha smesso di influenzarci.
    Faccio un esempio. Man mano che diverrà più forte il già irreversibile cambiamento climatico, la società umana ne verrà inevitabilmente modificata, sia a livello politico che antropologico. Forse determinate condizioni di produzione non saranno neanche più possibili e certi meccanismi biologici di difesa prenderanno il sopravvento. Certamente Marx non poteva prevedere che l'uomo potesse introdurre nell'ambiente variabili tali da modificare cose che ai suoi tempi parevano inamovibili, come le stagioni e le temperature. Ma mentre la natura si riequilibra su nuovi livelli "energetici" con megatempeste e megasiccità, noi ce la prendiamo in quel posto. A questo punto la nostra possibilità di "modificare la natura" ha prodotto solo il fatto che la natura va in "ebollizione" e ci annulla.
    Forse l'approccio naturalistico e l'approccio dialettico dovrebbero trovare un punto di incontro. L'uomo modifica la natura e la natura modifica l'uomo. Non è ecologismo, è realimo.
    Poi si può giustamente dire che la colpa di questi disastri è del capitalismo. Verissimo, ma questo non fa che confermare che se l'uomo eccede nella trasformazione della natura, la natura eccederà nel trasformarlo in un essere con dei grossi grossi problemi.

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    1. quanto sul fatto che certi meccanismi biologici abbiano smesso di influenzarci ...

      scherziamo? mai pensato una cosa del genere. ci risentiamo

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  2. molto grato delle precisazioni, ora seguirò con più interesse il blog

    mi pare che la chiusa individui una opposizione che trovo molto più feconda di quella tra casualità e necessità: quella tra necessità (attualità) e possibilità

    e qui è la coscieza rivoluzionaria, di classe -quindi nulla di riconducibile all' illuminazione della coscienza morale individuale- che fa la differenza

    da

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  3. AVVERTENZA:

    c'era un refuso alla fine della nota 5, nela prima frase che comunque veniva chiarita dalla seconda. mi è parso opportuno correggere e ora il senso si legge meglio così:

    Anche chi crede, per contro, che il superamento del capitalismo sia lo sbocco necessario e non solo possibile della lotta di classe, è in errore. La lotta di classe è un possibile dato dalle circostanze storiche reali; quindi, dal lato della necessità, un completarsi, e, dal lato della teoria, una verifica della previsione.

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  4. Io mi sono chiesto spesso, come mai le persone, soprattutto quelle ben consapevoli di essere sfruttate, si prestano spesso e volentieri alle contraddizioni del modello sociale in vigore?

    Vi è di più! Sono anche pronte a difendere il modello attuale con le unghie e con i denti. Tant'è vero che i partiti (partitini) comunisti, o non "esistono", o sono ininfluenti, spesso oggetto di derisione.

    Evidentemente conoscere tutte quelle "leggi" non basta. Ma allora non basta divulgarle soltanto, non credi?

    Noi siamo critici, ma forse siamo soltanto critici fine a se stessi e alla critica che avanziamo. Oltre alla critica sterile noi non abbiamo nulla da proporre, nulla per cui valga la pena di lottare e morire, nulla che faccia invogliare la cittadinanza ad aderire al nostro progetto. Ma, appunto, perché il progetto, o non esiste, o è scadente.

    Che la gente in toto si burli di noi, ci sarà un motivo! O forse, che noi 4 gatti italiani siamo gli unti dal signore?

    "Mea culpa" compagni.

    ciao

    Tony

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  5. Marx è termodinamica, non cinetica.

    Stefano

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    1. ciao Stefano.
      magari due righe in più per i nostri lettori? preferisci il sole di primavera, eh? hai ragione, godiamocelo.

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    2. Cara Olympe hai ragione sono stato un pò svogliato...
      Quando ho letto "leggi generali e le tendenze necessarie" ho avuto questo "flash mentale".
      Ho visto improvvisamente Marx che descrive la tendenza del sistema a trovare dei minimi dell'energia, un pò come l'energia libera di Gibbs nella fisica.
      "La legge non descrive il movimento della realtà immediata (le singole casualità), ma piuttosto cerca di coglierne, al di là appunto delle forme" secondo me è esattamente ciò che fa la descrizione termodinamica delle trasformazioni in chimica e in fisica. E la termodinamica non ti dice né quanto tempo ci vuole ad effettuare la trasformazione, né da quali "cammini di reazione" passeremo per arrivare a quel punto. Ma ti dice che INESORABILMENTE ARRIVEREMO a quel punto.
      Cosa ne pensi di questa pazza analogia?

      Stefano

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    3. è conforme alla citazione eglesiana in apertura al post di IERI

      ciao Stefano

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