mercoledì 6 marzo 2013

Non è la risposta



Prendersela con l’euro è sbagliare bersaglio. L’euro è una moneta, un mezzo di pagamento, non la causa dei nostri problemi. Altro paio di maniche è l’uso che la Germania, soprattutto la Germania, fa della moneta unica. Pertanto il problema va spostato dalla questione meramente monetaria a quella politica. In tali condizioni l’euro ci strozza, ma pensare di uscirne unilateralmente è semplicemente suicida.

L’altra questione che riguarda la crisi, quindi non la moneta unica in sé, rinvia agli accordi internazionali sul libero commercio. Tali accordi hanno cambiato la fisionomia del mondo creando anzitutto – lo ripeto – una nuova gerarchia dello sfruttamento del lavoro. La Panda e i frigoriferi si possono produrre ovunque. L’Italia si è trovata totalmente impreparata su questo cambiamento, continuando a puntare sulla riduzione del costo del lavoro per essere competitiva e la svendita del patrimonio industriale pubblico anziché ristrutturalo da cima a fondo. Ne stiamo pagando e ne pagheremo a lungo le conseguenze.

La responsabilità di questo stato di cose è anzitutto delle classi dirigenti, dilaniate dai conflitti interni, inefficienti e immobili, incapaci di visione e di sviluppo. Un solo esempio: nel 1993 è stato svenduto il Nuovo Pignone alla General Elettric. Nel frattempo il fatturato del Nuovo Pignone è salito di otto volte. Questa società aveva in portafoglio contratti pluridecennali per la manutenzione di tutti gli impianti petroliferi russi. Un valore strategico ed economico straordinario.

Scrivevo il 10 giugno 2010 su questo blog:

Nessuno che abbia uno straccio di proposta alternativa a questa palude, fosse pure un riformismo alla buona che tenesse conto che chi lavora non può pagare anche per chi vive di rendita e di sollazzo. Quello che Bersani dice oggi si guardò bene di dirlo solo tre anni or sono, da ministro.
Tutto il peso della crisi è sulle spalle di chi lavora e ha meno, rilevando, una volta di più, che non c’è nulla di democratico in questa politica economica. La classe dirigente sfrutta la crisi mondiale per arricchirsi, ancora una volta, oltre misura. Il fascismo non marcia più in orbace, ma con il passo felpato dei banchieri. 

È necessario spazzare via questa classe dirigente, e in ciò Grillo ha ragione. Solo che Grillo non può essere la risposta a questo bisogno di cambiamento. Dietro Grillo non c’è nulla, anzi, c’è Casaleggio. Non c’è una struttura, organizzazione, selezione dei dirigenti con un dibattito vero e democratico. E non c’è nemmeno competenza nelle materie da trattare e i problemi da affrontare, ma solo vaghi riferimenti. Il programma del movimento – bisogna leggerlo – è quanto di più evanescente. Perciò non deve stupire se un neo eletto di questo movimento ci parla di massoneria, complotti, microchip sottopelle, mentre un altro ci parla di musica. Grillo è ben consapevole di questo stato di cose ed è perciò che ha vietato il contatto dei parlamentari del movimento con la stampa.

Da questa crisi non si uscirà, ma anzi essa virerà sempre più in toni drammatici. La scomparsa di un’opposizione di classe forte, il matrimonio tra sinistra e neo liberismo fallito, hanno messo fuori causa ogni iniziativa alternativa, sia pure sul piano riformistico. Ultima testimonianza, in ordine di tempo, sono gli interventi pronunciati dai dirigenti del Pd alla direzione nazionale in corso a Roma. La destra è dappertutto, ha vinto, la sua vittoria è nei numeri e nei fatti. Ed era inevitabile che il malcontento e la rabbia sociali, che non hanno trovato risposte e sponde politiche adeguate, finissero in braccio a un movimento che rappresenta un pericolo, poiché, nel precipitare della crisi, fornirà il trampolino di lancio per certe avventure di stampo reazionario.


3 commenti:

  1. Questo post significa che stai meglio, meno male. È necessario reintrodurre il concetto di socialismo nel discorso politico , come ha fatto Chávez.

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  2. Ascoltando, anche di persona, le argomentazioni di alcuni/e (e dico alcuni/e: le opinioni poi son tante come le teste) di coloro che propongono il ritorno alla lira come "via di salvezza" per l'Italia, mi sono reso conto che costoro pensano davvero che la lira, di per sé, possa compiere il "miracolo" di restituirci l'economia italiana degli anni Ottanta o anche Sessanta (il boom!) del secolo scorso.
    Ma, in perfetta analogia con quanto tu dici dell'euro, la lira era soltanto una moneta, un mezzo di pagamento: da sola non basterebbe a riportare l'Italia alle condizioni economiche e di mercato di trenta o di cinquant'anni fa. Il perché è presto detto: la struttura industriale dell'Italia degli anni Ottanta del Novecento (e a maggior ragione degli anni Sessanta) era diversa dall'attuale; era diverso il mercato; era diverso lo scenario internazionale - cosa rilevantissima: i Paesi ex comunisti (tanto per fare un esempio) non prendevano parte alla "competizione" del mercato globale e dunque non erano "concorrenti" con noi (si pensi soprattutto alla Cina...); ma era diversa anche la composizione demografica dell'Italia - altro elemento che non si può sottovalutare. Eccetera eccetera...
    Bene, e per riportare tutti questi fattori alla loro "condizione ottimale" (posto che quella degli anni Ottanta lo fosse) basta soltanto "tornare alla lira"?
    Mi sbaglierò, ma penso che proprio studiando Marx si può comprendere come i sogni di "restaurazione" di "felici condizioni passate" siano soltanto esercizi di fantasia (che si possono anche umanamente comprendere, per carità, nella desolazione del presente stato di cose).
    Anch'io penso, come te, che il problema va spostato dalla questione meramente monetaria a quella politica e che la questione centrale è quella che illustri in questo passaggio, a partire dalla "nuova gerarchia dello sfruttamento del lavoro": La Panda e i frigoriferi si possono produrre ovunque. L’Italia si è trovata totalmente impreparata su questo cambiamento, continuando a puntare sulla riduzione del costo del lavoro per essere competitiva e la svendita del patrimonio industriale pubblico anziché ristrutturalo da cima a fondo. Ne stiamo pagando e ne pagheremo a lungo le conseguenze.
    Non voglio neppure escludere che un giorno l'euro giunga alla sua "crisi irreversibile", che imporrà di cercare alternative; ma a quel punto si dovrà fare i conti con le condizioni esistenti e non con quelle "che sarebbero potute essere" qualora il mondo si fosse fermato al 1980.

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