sabato 26 gennaio 2013

Una posizione marxista sul voto/1



Ho ricevuto un commento a un mio post che riflette una posizione molto diffusa e perciò penso meriti, per quanto sarò capace ovviamente, una risposta un po’ articolata. La prima parte della mia risposta ha in esame un presupposto che ritengo irrinunciabile e propedeutico per ogni successivo discorso sulla nostra condizione. Nella seconda parte cercherò di rispondere anche nello specifico della considerazione esposta dal Lettore, il quale scrive:

Difficilmente con le elezioni si può cambiare regime e oggi la democrazia borghese è divenuta una truffa bella e buona, basti pensare che il ns. paese definito democratico è l'unico ad avere sia una soglia di sbarramento che un premio di maggioranza. Anche se al momento nessuno ne parla. Alle elezioni, se c’è un'organizzazione politica democratica, o anche tendenzialmente tale – senza parlare di organizzazioni comuniste assolutamente inesistenti –, bisogna partecipare perché tale presenza crea uno dei pochi momenti di dibattito politico che questa società offre.

* * *
Noi viviamo in un sistema sociale che non ha i caratteri illiberali delle dittature, la nostra è invece una democrazia costituzionale che garantisce almeno i diritti umani e civili più elementari. Su questo non ci piove e non è venuto gratis. Siamo però davvero sicuri che nei fatti siano garantiti a tutti quantomeno i diritti più elementari? Faccio solo un esempio: mentre il diritto di proprietà è garantito indiscutibilmente nei fatti e tutelato dalla legge, viceversa il diritto al lavoro è spesso solo un principio enunciato. E, di là di tale aspetto non marginale in tema di diritti, di quale tipo di lavoro stiamo parlando?

La condizione umana – materiale e spirituale – è determinata dallo sviluppo raggiunto storicamente dalle forze produttive e dai rapporti di produzione. Per quanto riguarda segnatamente le forze produttive capitalistiche, dobbiamo intendere in primo luogo la classe dei lavoratori produttivi (di capitale) che è la principale forza produttiva. Per rapporti di produzione e di scambio s’intendono tutti quei rapporti oggettivi, cioè indipendenti dalla coscienza, che si stabiliscono tra gli uomini nella realizzazione del prodotto sociale e nella successiva ripartizione di esso. I rapporti di proprietà dei mezzi di produzione sono, tra i rapporti di produzione, quelli essenziali poiché da essi dipende la forma di tutti gli altri. Perciò ogni discorso sulla libertà e l’uguaglianza non può prescindere dall’analisi di tali rapporti. Prendiamo in considerazione uno degli aspetti salienti di essi.

La sfera della circolazione, ossia nello scambio delle merci e quindi laddove avviene la compera-vendita della forza-lavoro, è un vero paradiso dei diritti innati dell'uomo. Qui vi regnano soltanto Libertà, Eguaglianza, Proprietà.

Libertà! Poiché compratore e venditore d'una merce, per esempio della forza-lavoro, sono determinati solo dalla loro libera volontà. Stipulano il loro contratto come libere persone, giuridicamente pari. Il contratto è il risultato finale nel quale le loro volontà si danno un’espressione giuridica comune.
Eguaglianza! Poiché essi entrano in rapporto reciproco soltanto come possessori di merci, e scambiano equivalente per equivalente. 
Proprietà! Poiché ognuno dispone soltanto del proprio.
Ognuno dei due – capitalista e salariato – ha a che fare solo con se stesso, l'unico potere che li mette l'uno accanto all'altro e in rapporto tra loro è quello del proprio utile, del loro vantaggio particolare, dei loro interessi privati.
Questo è ciò che vogliono farci cedere e la storia universale ha bisogno di molto tempo per scoprire l’arcano di tale scambio tra persone giuridicamente libere e che scambiano alla pari.
Facciamo un passo indietro: quando prendiamo in esame il lavoro degli schiavi è del tutto evidente come essi lavorino per il loro padrone, come ad esso appartenga tutto il prodotto del loro lavoro, persino la parte della giornata lavorativa in cui lo schiavo non fa che reintegrare il valore dei propri mezzi di sussistenza – cibo, vestiario, ecc. – sembra appartenere al padrone. Perciò tutto il lavoro degli schiavi appare come lavoro non retribuito. Nelle prestazioni di lavoro feudali, invece, il lavoro eseguito dai servi per se stessi è distinto nello spazio e nel tempo, in maniera tangibile e sensibile, dal lavoro coatto per il signore del fondo, oppure dai lavori di corvè.

Lo sfruttamento del lavoro però non è prerogativa solo degli antichi modi di produzione, ma anche del modo di produzione capitalistico. E anche molto specificamente, in quanto solamente nel capitalismo lo sfruttamento assume la forma storica e determinata di appropriazione di lavoro non pagato. Infatti, pur avendo il lavoro salariato come presupposto lo scambio libero tra persone alla pari, il rapporto monetario che s’instaura tra capitalista e operaio cela il lavoro che l’operaio salariato compie senza alcuna retribuzione, ossia quella quantità di lavoro che l’operaio non impiega per produrre il proprio salario.
Anche parlare di valore del lavoro è però un’espressione irrazionale poiché si tratta di valore della forza-lavoro (*), il quale deve essere sempre minore della sua produzione di valore, in quanto il capitalista fa funzionare la forza-lavoro sempre per un tempo maggiore di quello necessario alla riproduzione del valore della forza-lavoro. Scrive al riguardo Marx nel cap. 17 de Il Capitale:
«Si comprende quindi l’importanza decisiva che ha la metamorfosi del valore e del prezzo della forza-lavoro nella forma di salario, ossia in valore e prezzo del lavoro stesso.
Su questa forma fenomenica che rende invisibile il rapporto reale e mostra precisamente il suo opposto, si fondano tutte le idee giuridiche dell’operaio e del capitalista, tutte le mistificazioni del modo di produzione capitalistico, tutte le sue illusioni sulla libertà, tutte le chiacchiere apologetiche dell’economia volgare».
Perciò, il capitale, in quanto potere di governo sul lavoro e sui suoi prodotti, diventa il vero Principe della situazione. Il capitalista – osserva Marx nei Manoscritti – possiede questo potere non in virtù di qualità personali o umane, ma in quanto è proprietario del capitale. Il potere d'acquisto del suo capitale, che nulla può contrastare, è il suo potere.

In altro luogo della sua opera, Marx scrive: «Lo schiavo romano era legato al suo proprietario da catene; l’operaio salariato lo è al suo da invisibili fili. L’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris del contratto» (Il Capitale, I, cap. XXI).

Marx – lo sappiamo – era un poco di buono, un sovversivo. Sentiamo invece un autorevole e pacato esponente dell’onorata società: «Allorché un individuo è costretto a pagare e a lavorare per altri, questo individuo è lo schiavo degli altri» (Maffeo Pantaleoni, La caduta della Società Generale di Credito mobiliare Italiano, UTET, 1988).

Oppure Cicerone: «I mercanti non possono guadagnare senza mentire, e non c'è nulla di più spregevole della menzogna [...] tutti coloro che vendono la loro fatica e la loro industria, [...] chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette a livello degli schiavi» (Dei doveri, I, XLII).

Pertanto, condizione preliminare a ogni libertà è di essere liberi dal lavoro salariato. Ciò comporta la rimodellazione delle forze produttive, della tecnica e della scienza entro un nuovo quadro di razionalità fondato sulla liberazione del lavoro. Naturalmente sarà necessario, tra l’altro, ridefinire il concetto di ricchezza fondandolo non più sul tempo di lavoro ma sul tempo disponibile. Ed infatti il lavoro necessario per la riproduzione della società nelle attuali condizioni può essere effettivamente ridotto a misure estremamente piccole creando una massiccia liberazione del tempo disponibile per ogni individuo e per l’intera società. Ciò non può prescindere a sua volta dall’eliminazione della proprietà privata, quindi dalla appropriazione/gestione sociale dei mezzi di produzione sulla base di rapporti di collaborazione e di mutua assistenza affinché il libero sviluppo di ciascuno sia effettivamente la condizione del libero sviluppo di tutti. E a tutto ciò è indispensabile un effettivo internazionalismo proletario.

N.B. : la seconda parte della risposta nel prossimo post.

(*) Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l'insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d'un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere (Marx, I, cap. 4).

4 commenti:

  1. Risposte
    1. ve la state cavando con poco voi due, prego inviare scatola cioccolatini assortiti al liquore, in alternativa anche solo cioccolatini o solo liquore

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  2. Massima stima Olympe. Appunto quello serve: un'organizzazione di classe rivoluzionarie internazionale e internazionalista. Un abbraccio.

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