lunedì 28 gennaio 2013

Minima propedeutica marxista



Nel post precedente ho scritto: … la borghesia non è un monolite come non lo sono le altre classi sociali; essa si divide in fazioni e interessi particolari diversi; la pluralità di tali interessi, dei singoli poteri, agisce nelle volontà politiche dello Stato e la democrazia si definisce in relazione alla loro forza specifica.

Che cosa significa interessi particolari diversi? Gli interessi particolari di un rentier possono essere diversi di quelli di un industriale. Per esempio, quest’ultimo può avere interesse che la tassazione delle rendite e delle transazioni finanziare sia tassata a un livello più alto di quello vigente. Precisavo anche nel post: Tuttavia non si deve credere che la borghesia – che non va confusa solo con chi ha “i soldi”– non sia unita negli scopi strategici generali e negli interessi fondamentali.

Allo stesso modo che la borghesia non è una classe sociale omogenea per quanto riguarda la sua composizione e gli interessi particolari delle sue varie fazioni, anche il proletariato è una classe sociale che presenta al suo interno delle differenze, a volte anche sociologicamente notevoli. Tuttavia se vogliamo partire da una definizione scientifica di proletariato, essa deve essere sempre messa in relazione al capitale inteso quale rapporto sociale.





Un operaio può, per esempio, avere interessi contingenti diversi da un lavoratore della sfera della circolazione, ma questo non significa che la classe degli espropriati non abbia oggettivamente scopi strategici generali e interessi fondamentali comuni. Che cosa significa “oggettivamente”? Indipendentemente dalla coscienza dei singoli soggetti. Sostenere poi – come fanno alcuni – che Marx ed Engels non avessero presenti tali distinzioni, è affermare un’enorme sciocchezza (resta da stabilire quanto in malafede e quanto per ignoranza).

Il proletariato può essere grossomodo diviso in: 1) lavoratori immediatamente produttivi di plusvalore (agricoltura, industria estrattiva, manifatturiera, costruzioni, trasporti, comunicazioni e spedizioni; 2) lavoratori che realizzano il plusvalore nella sfera della circolazione (commercio, ecc.); 3) lavoratori dei servizi (pubblici e privati); 4) impiegati e tecnici proletarizzati; 5) esercito industriale di riserva e popolazione che non ha ancora una collocazione all’interno della sfera della riproduzione del capitale. Pertanto, certe sciocchezze sulle classi medie, la piccola borghesia, è meglio risparmiarcele poiché non hanno rapporto con un metodo scientifico.

Ogni soggetto che rientri nelle condizioni descritte è a pieno titolo un proletario, anche se ha un po’ di grana, una bella casa e si sente, beato lui, un “signore”.

Prendiamo ad esempio i lavoratori della sfera della circolazione. Il processo di circolazione, essendo una fase del processo di produzione, è altrettanto indispensabile a quest’ultimo. Il plusvalore prodotto e incorporato nelle merci deve essere realizzato nel più breve tempo possibile, “quindi – scrive Marx – gli agenti della circolazione sono altrettanto necessari che gli agenti della produzione”. Pertanto i lavoratori della sfera della circolazione hanno in comune con quelli della sfera della produzione la riproduzione del capitale sociale. Scrive sempre quel “neoplatonico” e incorreggibile hegeliano di Marx:
[Al capitalista] il lavoro non pagato di questi commessi, pur non creando plusvalore, gli rende possibile l’appropriazione di plusvaloreil che, per quanto riguarda questo capitale, produce esattamente il medesimo risultato; esso è quindi la fonte del suo profitto.
[…] Come per il capitale produttivo il lavoro non pagato degli operai crea direttamente del plusvalore, così il lavoro non pagato dei lavoratori commerciali procura al capitale commerciale una partecipazione a quel plusvalore (*).
Per quanto riguarda invece i lavoratori dei servizi, anch’essi fanno parte del proletariato. Le loro prestazioni o servizi producono un valore d’uso che mantiene un effetto utile per chi ne fruisce direttamente o indirettamente, oppure si rende necessario all’attività lavorativa in generale. Tuttavia tali prestazioni o servizi – che non si oggettivano in un prodotto distinto dal lavoro e restano valori d’uso – non sono lavori produttivi di valore (sul punto non insisto oltre avendovi dedicato diversi post). L’estendersi del lavoro salariato nell’attuale fase dello sviluppo capitalistico, fa sì che quest’ultimo tenda a sussumere ogni forza-lavoro impadronendosi dei servizi e delle attività a essi collegate, trasformandone gli operatori in salariati del capitale. Vendendo la forza-lavoro, i salariati dei servizi ricevono in cambio un puro salario di sussistenza; una parte del loro lavoro non viene pagata e, similmente per quanto avviene nella sfera della circolazione, il capitale estorce il profitto che gli permette di economizzare sui suoi redditi, aumentando l’accumulazione.
Esaminiamo ora il caso della classe operaia. Ciò che la distingue dagli altri lavoratori proletarizzati è che essa, mentre produce capitale, riproduce il modo stesso di produzione capitalistico. Lo dico per quelli che hanno superato l’”utopia” marxiana: la classe operaia non produce solo merci ma anche rapporti sociali. Perché essa è oggettivamente rivoluzionaria? Perché produce contemporaneamente la fine di questo modo di produzione, la fine di questi rapporti sociali. Dice Marx: “Di tutti gli strumenti di produzione, la più grande forza produttiva è la classe rivoluzionaria stessa”.

Tradotto, sempre per le testine di cui sopra: l’essere soggetto rivoluzionario, per la classe operaia coincide totalmente con l’oggettività dei rapporti di produzione di cui è espressione e creazione. Attenzione, belli: non è rivoluzionaria solo perché lotta, come andate blaterando nei vostri blog, ma perché riproduce continuamente le condizioni di questa lotta. Scrive Marx: «Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletario, o anche tutto il proletariato si rappresenta temporaneamente come fine. Ciò che conta è che cosa esso è e che cosa sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo suo essere. Il suo fine e la sua azione storica sono indicati in modo chiaro, in modo irrevocabile, nella situazione della sua vita e in tutta l’organizzazione della società civile moderna» (*).

Ecco anche perché Marx si astiene da qualsiasi prescrizione predittiva o normativa lasciando spazio all’inesorabile necessità storica.

(*) Questo brano marxiano, pur nella sua concisione, vale più di qualche migliaio di tonnellate di spazzatura editoriale che si trova in circolazione. Esso è proposto anche in internet, per esempio in Wikipedia, ma a volte in modo impreciso e sempre incompleto, sovente senza indicazione bibliografica precisa: La sacra famiglia, MEOC, vol. IV, p. 38. Questo a dimostrazione, se mai ve ne fosse bisogno, che per quanto utili e preziosi possano essere i nuovi strumenti tecnologici per la conoscenza e la ricerca, essi non possono soppiantare del tutto una delle più grandi rivoluzioni tecniche della modernità: il libro a stampa. Purtroppo apprendo dell'incendio dell'antica biblioteca araba, piccola ma preziosa, di Timbuctu (su di essa esiste un buon doc. Rai). Spero la notizia venga smentita.

(**) Il Capitale, III, cap. 17. 

1 commento:

  1. Riposto il commento qui, ti ho rispost sul FQ..

    Si grazie, ho letto, hai ragione, comunque è interessante quello che mi linkasti, minima propedeutica marxista se ricordo bene. L'analisi marxiana del Capitale è ancora attualissima e di meglio ancora non si trova, in quello in particolare non ho niente da ridire, le cose che però sono sempre meno convinto è il ruolo storico rivoluzionario del proletariato, ma sono io che non ho molta fiducia in questo ruolo , va da sè che anche da rivedere tutto il discorso sulla fase transitoria e sulla dittatura del proletariato, molto interessante è un sito che si chiama il Lato cattivo, poi quelli che mi paiono interessanti come siti sono Infoaut, finimondo. Ciao

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