domenica 30 dicembre 2012

Promemoria



Quello di Scalfari Eugenio, stamane, è l’editoriale di un vecchio amareggiato che si sente tradito dal suo amorazzo. Deluso da un idillio finito anzitempo, è costretto a ripiegare per consolazione e compensazione in qualcos’altro. Perciò ripesca l’agenda Bersani che aveva riposto nell’ultimo cassetto della scrivania senza nemmeno aprirla. Scopre così che non vede grandi differenze” con quella di Monti, anzi non ne scorge “quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito”. Come se quest’ultimo punto fosse robetta stando le cose effettivamente così. E invece si declinano ben diversamente, poiché “destinare il denaro recuperato dall’evasione per diminuire il cuneo fiscale e le imposte sui lavoratori e sulle imprese”, è una favola ripetuta alla nausea – perfino da Berlusconi e Prodi – e non ha alcuna possibilità di riscontro con la realtà. Lo sa bene l’ottuagenario, tanto che può concludere tranquillo: “non esiste né un'agenda Bersani né un agenda Monti”, ne esiste però un’altra, dettata altrove.

Scrive poi sull’ingerenza del Vaticano nella politica e nelle faccende italiane. Scalfari nega che ingerenze dei preti ci siano mai state: “il Vaticano non ne ha mai fatte, neppure ai tempi di Fanfani, di Moro, di Andreotti”. Non ce n’era bisogno, su questo si può concordare, il partito al potere si chiamava non a caso Democrazia cristiana. Quale influenza abbia avuto la Chiesa cattolica nella formazione del suo gruppo dirigente, dei suoi quadri, del suo tessuto ideologico, nell’organizzazione di donne e giovani nelle parrocchie, nel motivare ideologicamente con le sue encicliche sociali e nell’adoperarsi attivamente per mantenere certi equilibri di potere, mi pare che solo Scalfari finga d’ignorarlo. Il Vaticano – sostiene Scalfari – “ha sempre e soltanto suggerito su questioni concrete e specifiche”. Esatto, perfino per quanto concerne la programmazione televisiva e cinematografica, tanto per dirne un’altra.

Come dimenticare che la Dc era (è) la ricostruzione del Partito popolare, quello stesso che aveva partecipato al governo Mussolini dopo la marcia su Roma? Come non ricordare che il Vaticano fu determinante nella formazione del primo governo fascista? Mi soffermo sul punto che merita una chiarificazione: l’approvazione della legge del luglio 1920, che doveva entrare in vigore nel luglio del 1921, sulla nominatività dei titoli e altre misure fiscali era avversata – oltre che dai soliti gruppi industriali e finanziari – soprattutto dal Vaticano, che aveva in Italia la quasi totalità dei suoi investimenti e possedeva a preferenza titoli al portatore, così come era temutissima la norma fiscale sulle trasmissioni ereditarie tra persone non legate da vincoli di sangue. Nella crisi che succedette alla caduta di Giolitti e fino all’avvento del fascismo, il Vaticano si oppose a un possibile nuovo governo presieduto da Giolitti, innanzitutto con il veto imposto al Partito popolare di aderirvi. Il costo di tale atteggiamento fu la paralisi parlamentare e, infine, la crisi istituzionale.

Scrisse nel 1947 Benedetto Croce:
«L’azione della politica vaticana fu allora perniciosa per l’Italia e aprì le porte al fascismo impedendo ogni ritorno del Giolitti al potere. Su di che potrei aggiungere particolari, come d’un colloquio che l’on. Pozio, sottosegretario alla presidenza con Giolitti e a lui devotissimo, ebbe con il card. Gasparri, che rudemente respinse ogni approccio d’intesa: quel che più aveva inferocito la Chiesa era la legge giolittiana della nominatività dei titoli al portatore, nei quali molto denaro degli istituti ecclesiastici era investito».

Sotto il titolo: « La soddisfazione del Vaticano per la soluzione delle crisi » il Popolo d’Italia del 2 novembre del 1922 pubblicò:
«Durante i giorni del travaglio nazionale, che condussero all’avvento al potere dell’on. Mussolini, nessun allarme si ebbe nei circoli più vicini al Pontefice, il quale, quando gli avvenimenti si sono avviati verso il loro sbocco normale, non ha celato agli intimi il Suo compiacimento nel vedere l’Italia dirigersi verso una rivalorizzazione delle sue migliori energie».

E il 10 Novembre, lo stesso giorno in cui Il Popolo d’Italia pubblicava la notizia che il consiglio dei ministri avrebbe abrogato la legge sulla nominatività dei titoli, il suo corrispondente da Roma comunicava:
«Per quanto le sfere responsabili del Vaticano mantengano il loro tradizionale riserbo intorno alla politica del nuovo gabinetto italiano, negli ambienti dei Palazzi Apostolici non si nasconde la simpatia e il senso di fiducia determinato dai primi atti dell’on. Mussolini».

Come non può ricordare Eugenio Scalfari, quando vestiva con i pantaloni a sbuffo alto e camicia nera, quindi prima d’imboscarsi durante la Resistenza, che la guerra di aggressione all’Etiopia fu benedetta da Pio XI e quella di Spagna addirittura esaltata e sostenuta come una crociata contro i “rossi”, e poi Pio XII benedire l’aggressione all’Urss come un rilancio della solita crociata contro il comunismo?

E un pochetto d’ingerenza, dalle cattedre pietrine e dai pulpiti delle chiese, c’è pure nelle elezioni del 1948 e successive. Appena una spolverata di sano anticomunismo. Che fosse considerato nonlecito iscriversi al partito comunista o sostenerlo”, il Vaticano l’ha stabilito con la nota scomunica del 1949. Poi, nel 1959, lo ricordo soprattutto allo smemorato di Bettola (Piacenza), papa Roncalli confermò che non era “lecito ai cittadini cattolici dare il proprio voto durante le elezioni a quei partiti o candidati che, pur non professando princìpi contrari alla dottrina cattolica o anzi assumendo il nome cristiano, tuttavia nei fatti si associano ai comunisti e con il proprio comportamento li aiutano”. Trascuro poi le questioni legate al divorzio, all’aborto, al cosiddetto testamento biologico, alla fecondazione assistita e a molte altre cose, tra le quali la faccenda dell’indottrinamento cattolico – a spese dell’intera collettività – nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado. Tutte cose assai note a Scalfari che però tiene in non cale, come sempre quando gli conviene.

2 commenti:

  1. forse Salfari è semplicemente un vecchio narciso che si pregia di essere una grande quercia, nessuno gli ha insegnato ad essere un filo d'erba...

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  2. Quando il narcisismo è patologico si è malati di stupidità. Scalfari è solo una tra le tante voci del padrone. Insignificante. Non degno di alcuna considerazione.
    Al di là di quanto gli venga tributato dagli altri servi. Secondo alcune biografie Berlusconi è un grande statista.
    Il 3 febbraio 2011 il Parlamento stabilì che Ruby era la nipote di Mubarak.
    Ciao cara.

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