venerdì 6 luglio 2012

Quoi, l'éternité?


Nonostante la brezza sostenuta di questa mattina, il rinfresco dopo settimane di afa opprimente, constato l’insistere di una depressione di portata inedita e di vastità sistemica dagli esiti futuri imprevedibili, e del resto non si trova in circolazione un solo ideologo, fosse pure un keynesiano, che possa prospettare un’uscita credibile da questa situazione senza confondere i desideri con le cose.

Per fortuna ci pensano gli intellettuali di sinistra, dell’ultra-sinistra, come il solito Toni Negri che ieri, su il manifesto, sosteneva che il limite al capitalismo non sta necessariamente nel suo sviluppo, ossia nelle determinazioni dell’accumulazione. La negazione della negazione sarebbe anzi un’inferenza dialettica subìta dal pensiero marxiano, tanto da adombrare che la sospensione della scrittura del terzo libro de Il Capitale e di "quel capitolo" sul concetto di “classe” (l’ultimo con il quale termina il manoscritto) e che doveva reintrodurre (sempre secondo Negri) la soggettività nel processo di emancipazione rivoluzionaria, sia dovuta proprio al fatto che Marx avrebbe “sofferto il limite della dialettica hegeliana”. Niente meno!

Per contro, mi pare che l’evoluzione dal capitalismo al comunismo prospettata nell’interpretazione negriana della “moltitudine” che si fa storia di lotte e di differenti “processi di soggettivazione”, si avvicini più al senso mistico che alla realtà storica. Infatti, non siamo liberi di sceglierci questa o quella forma sociale, non siamo liberi arbitri delle nostre forze produttive, cioè della base della nostra storia e non c’è intrapresa soggettiva che di per sé possa determinare cambiamenti tanto epocali se non in presenza e in forza delle contraddizioni in sviluppo. Questo il lato oggettivo della questione, ossia della necessità.

Il lato soggettivo è presto svolto: che la necessità porti alla possibilità, non significa necessariamente che ciò apra la porta alla realtà. Sennonché gli uomini non sono disposti a rinunciare alle proprie conquiste, e tuttavia ciò non significa – proprio per non perderne il risultato – che essi non siano disposti a rinunciare alle forme sociali (prodotti storici) nelle quali le hanno acquisite, per cui le vecchie forme economiche – e nell’insieme quelle della società civile – sono sempre state storicamente sostituite con nuove forme, espressione di mutati rapporti e di nuovi bisogni. Ciò dimostra abbondantemente – per dirla precisamente con Marx – che le forme economiche sotto le quali gli uomini producono, consumano, scambiano sono dunque transitorie e storiche.

Ecco dunque quanto poco – a mio modo di vedere – abbia a che fare la prigione hegeliana con Marx e quanto per nulla egli abbia “sofferto il limite della dialettica hegeliana”, ma anche quanto i principi della dialettica abbiano a che fare con la necessità prima ancora che con il possibile e il desiderabile.

2 commenti:

  1. "La negazione della negazione sarebbe anzi un’inferenza dialettica subìta dal pensiero marxiano, tanto da adombrare che la sospensione della scrittura del terzo libro de Il Capitale e di "quel capitolo" sul concetto di “classe” (l’ultimo con il quale termina il manoscritto) e che doveva reintrodurre (sempre secondo Negri) la soggettività nel processo di emancipazione rivoluzionaria, sia dovuta proprio al fatto che Marx avrebbe “sofferto il limite della dialettica hegeliana”. Niente meno!"

    Abbi pazienza cara Olympe, non si potrebbe un tantino semplificare per un povero profano desideroso di emanciparsi come me?
    Distinti saluti

    F.G

    RispondiElimina
  2. hai ragione, ma hai letto l'articolo di negri? dimmi come fai a sempificarlo meglio di così in poche parole? cmq egli vuol dire che i limiti e il superamento del capitalismo non stanno nelle sue crisi dovute principalente alla caduta del saggio del profitto. va meglio? spero di sì. ciao e grazie per la passione con la quale segui

    RispondiElimina