domenica 15 luglio 2012

Ai tedeschi manca l'Artusi?

Da dove deriva il carattere duro, a tratti crudele, dei popoli germanici? Può darsi che il tipo di alimentazione, dove la carne aveva una parte di rilievo, e così il clima rigido, possano aver influito in tal senso? I popoli mediterranei hanno invece un’alimentazione diversa, più varia e ricca di cereali e vegetali, e un clima più benevolo. Tuttavia si deve ammettere che noi abbiamo prodotto generi come gli squadristi e truci cliché come quello di maccaroni m'hai provocato e io ti distruggo.

Quando si parla della ferocia dei popoli germanici non si deve dimenticare che le guerre galliche di Cesare costarono un milioncino di cadaveri, un’ecatombe in rapporto alla popolazione d’allora. E comunque è un dato di fatto che i “tedeschi” si fanno ricordare per la loro efferatezza più di altri, ma in definitiva non credo dipenda troppo dal fatto che loro non hanno avuto l’Artusi.

Non ho mai avuto troppa simpatia per questo genere di materialismo esposto al naturalismo, tipo quello di Jared Diamond, il quale secondo me si concentra quasi esclusivamente sui fattori bio-geografici, senza tener conto adeguatamente dell’evoluzione dei rapporti sociali e la progressiva produzione di un "secondo" ambiente, "artificiale", da parte della società umana. E del resto, sempre sulla base dei fattori alimentari e climatici, come spiegare la ferocia dei riti aztechi?

Anche gli asiatici non scherzano quanto a ferocia, basti pensare ad Attila. Non essendo un popolo stanziale anche la loro alimentazione era ben diversa da quella dei popoli mediterranei. E tuttavia anche agli Unni si attribuiscono cose totalmente false. Uno dei miti più noti è quello raccontato dallo storico Ammiano, secondo cui essi “si nutrono di radici di erbe selvatiche e di carne semicruda di qualsiasi animale, che riscaldano per un po’ di tempo tra le loro cosce ed il dorso dei cavalli”.

Ammiano di persona molto probabilmente non aveva in vita sua mai posato gli occhi su un Unno e alcune delle informazioni che lo storico, per altri aspetti molto rigoroso e attendibile, aveva ottenuto di seconda mano da ufficiali dell’esercito e funzionari che erano venuti in contatto con gli strani “nuovi” barbari, non erano veritiere, compresa quella, come detto, riguardante la carne cruda che gli Unni avrebbero scaldato portandola tra le loro cosce ed il dorso dei cavalli.

Benché questa storia fosse stata creduta a lungo e venga anche raccontata circa gli Ungari del IX e X sec., così come dei Tartari del tempo di Tamerlano, noi sappiamo adesso che è falsa. Si tratta però di un errore onesto, uno dei non rari cliché, probabilmente dovuto al fatto che gli Unni, tra i primi a far uso di una sella vera e propria, per guarire i cavalli piagati dallo strofinìo della sella, usavano medicarli con fette di carne cruda (E.A. Thompson, St. di Attila e degli Unni, Firenze 1963, p. 20-21; G. Fasoli, Le incursioni ungare in Europa, Sansoni 1945, p. 30).

Come se non bastassero le leggende antiche, ci si mette anche il pressapochismo moderno di Wikipedia a mettere in cattiva luce gli Unni. Alla voce “Attila” si può leggere:

«Durante la ritirata Attila non si astenne dal commettere atrocità. Fece massacrare ostaggi e prigionieri. “Duecento giovani fanciulle furono torturate con disumana ferocia: i loro corpi vennero legati a cavalli selvaggi e squartati, le ossa frantumate sotto le ruote dei carri e le membra abbandonate sulle strade in pasto ai cani”».

Non è esattamente così, non fu Attila a commettere quelle atrocità e non gli Unni, bensì i Turingi. La citazione esatta si trova in Edward Gibbon (1737-1794), nel secondo volume (Einaudi, p. 1265) della sua celebre opera:

«I Turingi militavano nell’esercito di Attila e attraversarono, sia all’andata che al ritorno, i territori dei Franchi; e fu probabilmente in questa guerra che commisero quelle crudeltà che circa ottant’anni dopo furono vendicate dal figlio di Clodoveo. Essi uccisero gli ostaggi e i prigionieri, duecento fanciulle furono torturate con crudeltà raffinata e rabbia inesorabile, i loro corpi squartati da cavalli selvaggi, o le loro ossa stritolate sotto le ruote dei carri, e le loro membra abbandonate sulle strade in preda ai cani e agli avvoltoi. Tali erano quei selvaggi antenati, le immaginarie virtù dei quali – sottolinea il Gibbon  – hanno talvolta eccitato la lode e l’invidia dei secoli civili».



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