venerdì 6 aprile 2012

La crisi è finita, crepate in pace



Non dovrebbe stupire la conventio ad excludendum di cui dà prova il trattamento mediale sulle questioni che stanno in capo all’attuale crisi economica e sociale. Non è nemmeno escluso, in un mondo così rispettoso per le necessità del grande capitale, che ciò serva a misurare il grado di ottundimento al quale possiamo essere sottoposti.

Qualcuno osserverà invece che di tali questioni, e segnatamente di quelle connesse alla globalizzazione, si è discusso in lungo e in largo. A me non pare invece così diffusa la consapevolezza di cosa esattamente ci aspetti, e ho buona prova che la percezione della crisi sia, nonostante tutto, sottostimata.

In generale, il fatto nuovo che sfugge realmente è che l’economia nella sua onnipotenza è diventata folle e nessuno è in grado di controllarne le dinamiche. E non mi riferisco solo all’aspetto finanziario, laddove l’ammontare dei derivati è una dozzina di volte il Pil mondiale.

Quale può essere il risultato di questo tipo di globalizzazione in un paese come l’Italia, che poggia la propria economia sostanzialmente sul lavoro, nel momento in cui essa è posta d’emblée a confronto con economie dove la forza lavoro ha un costo anche di trenta volte inferiore? Hic Rhodus, hic salta.

Se a questo si aggiunge che ai paesi in tale situazione come l’Italia è tolta la potestà di battere moneta e di regolare il proprio cambio, si comprende come essi siano privati delle leve per ogni autonoma iniziativa di politica economica e quindi di qualunque possibilità di difendersi.

Se, inoltre, si aggiunge che questi medesimi Stati sono stati privati della possibilità di intervenire a sostegno della propria industria e del commercio, mentre, per contro, si devono confrontare con paesi concorrenti dove domina un capitalismo di Stato, è evidente che la partita è persa in partenza.

Com’è evidente le aziende chiudono perché non reggono la concorrenza o perché delocalizzano per garantirsi maggiori profitti. Il fatto che nel 2011 siano state coinvolte circa 12.000 aziende italiane è di per sé serio; diventa molto grave se consideriamo che la stessa cosa è avvenuta nel 2010 e si ripeterà anche quest’anno e poi il prossimo. Un fenomeno di massa inquietante e del quale le massime autorità governative sembrano non occuparsi.

Anche abbattendo ancor più i salari, aumentando il saggio di sfruttamento e riducendo gli oneri, la disparità di costo con i paesi concorrenti resta enorme e incolmabile. Non c’è sovversione dell’articolo 18 che tenga, e ciò serve a rilevare fino a che punto è giunta la corruzione dei partiti dell’ex sinistra e del sindacato.

2 commenti:

  1. E quando saranno andate via altre dodicimila e dodicimila ancora, cosa resterà dello Stato e dei suoi cittadini? Saremo delocalizzati anche noi, in massa?

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  2. ...le soluzioni proposte (direi imposte) e adottate fin'ora hanno avuto un solo obiettivo: il capitale. Gli esseri umani, senza i quali il capitale non esisterebbe, sono sistematicamente dimenticati dall'agire. Bisogna rilanciare i consumi, è necessario rassicurare il mercato ...etc. Ma nessuno pensa a rassicurare le persone. Neanche i professori.

    Olivier

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