lunedì 9 gennaio 2012

Visto dal Portogallo: il totalitarismo dei consumi


Non lo avevo ancora letto questo articolo quando ho scritto il post precedente dove parlo di: «Smantellare i cardini del nostro sistema sociale e culturale per renderli rispondenti alle “esigenze” del mercato, è l’ultimo aspetto di tale progetto al quale ci si sta dedicando con molta cura e impiego dei media». Merita davvero attenzione poiché narra il nostro domani mattina.

di Goffredo Adinolfi - il manifesto
C'è una cosa su cui il Portogallo è sicuramente molto avanti rispetto all'Italia: le liberalizzazioni. Qui questo annoso e antipatico problema degli orari dei negozi è stato risolto da tempo: la libertà di scelta dei negozianti è ampia e così i clienti non sono più vincolati da «assurde» leggi dal carattere vagamente bolscevico (come accade ad esempio in Germania, Svizzera o Belgio) che impediscono loro di acquistare quando meglio credono. Dalle 9 del mattino alla mezzanotte, dal lunedì alla domenica supermercati, libri, farmacie, tecnologie varie, vestititi eccetera: non resterete mai a secco.

Concomitante, o conseguente, a questo processo di liberalizzazione degli orari di vendita anche la liberalizzazione sostanziale delle licenze di costruzione. La Lisbona dei quartieri arabi come l'Alfama e la Mouraria, del Fado di Amalia Rodriguez e della Rivoluzione dei Capitani di aprile si è «finalmente» modernizzata. Nuovi panorami caratterizzano oggi la città, fra i quali certamente merita di essere citato l'avveniristico centro commerciale «Colombo» che, fino a pochi anni fa, era uno degli spazi di vendita più grandi d'Europa, facilmente raggiungibile con la metropolitana. Un luogo, o meglio un non luogo, fatto di strade, piazze, parchi e, non ci crederete mai, anche una piccola cappella. Si sa quando facciamo acquisti ci sentiamo sempre un po' in colpa, nel caso ci si confessa e via possiamo alleggerire oltre che il portafogli anche il nostro cuore.

Anche la meravigliosa Praça de Touros, a Campo Pequeno, è stata devastata dal centro commerciale: sotto il circo delle corride, potrete trovare para-farmacie, supermercati e, chiaro, fast food in abbondanza. Chissà, potrebbe essere un modo per finanziare i costosi restauri del Colosseo o per dare una nuova vita al Pantheon o a Campo dei Fiori, non vi pare?

Beh certo ogni processo di modernizzazione ha i suoi contraltari, ma si sa un prezzo va pure pagato per il progresso. Avere un negozio al centro commerciale è caro e se ne sei fuori nessuno ti conosce, difficile reggere sul mercato. Chi se lo può permettere? Così le grandi catene prendono il posto dei vecchi, slabbrati e polverosi negozietti: Zara, Massimo Dutti, Vobis, Calzedonia e Mediaworld tanto per citare a memoria. Processo di uniformizzazione? Forse, ma suvvia non facciamo i polemici, in fondo il fatto che ci si vesta tutti negli stessi negozi potrebbe avere anche qualche aspetto positivo: ricordate il tanto criticato modello sovietico?

A ben guardare c'è però un altro piccolo regalo che i processi di liberalizzazione di orari e licenze hanno portato: la desertificazione delle città e questo per due motivi. Innanzitutto, il piccolo commerciante i soldi per tenere aperto il suo negozio dalle 9 del mattino alla mezzanotte non li ha e quindi deve chiudere. In secondo luogo perché le catene si concentrano in pochi spazi, oltre ai centri commerciali ci sono le vie del centro, solo quelle più trafficate, chiaro! Così la rua Augusta, che porta alla maestosa praça do Comercio, quella della scena finale del film Sostiene Pereira, diventa uguale a tante vie del centro di altri luoghi sparsi un po' in tutto il mondo, ma questo è problema studiato. Lo aveva previsto Pasolini nel 1974 che una società ancora troppo contadina come quella portoghese male avrebbe resistito al «totalitarismo del capitalismo del consumo». Le implicazioni sono molto più pesanti di quanto ci si aspetterebbe, perché si finisce col perdere completamente i rapporti tra le persone e il loro quartiere, che diventa soltanto un triste, cadente e pericoloso dormitorio. Si perde il rapporto umano con il proprio farmacista, libraio, edicolante, perché dentro quei posti ci sono solo persone sfruttate che lavorano su turni e che probabilmente ruotano su più negozi della stessa catena e, visto che nella maggior parte dei casi sono precari, probabilmente li vedrete poche volte e poi spariranno. Insomma vivrete, e viviamo, in ambienti sempre più asettici dove saremo sempre meno conosciuti e riconosciuti: sempre più clienti e sempre meno cittadini.

C'è infine un ultimo «piccolo» problema che la questione della liberalizzazione degli orari dei negozi porta con sè: la assoluta scomposizione dei rapporti umani di chi vive nel commercio. Lavorare su turni che vanno dalle 9 del mattino alla mezzanotte 7 giorni su 7, 12 mesi all'anno significa fare fatica ad avere relazioni. I turni non li sceglie il lavoratore, ma il datore di lavoro, che da queste parti viene chiamato patrão, tanto per essere chiari su chi e su come si comanda. Se disgraziatamente anche tua moglie, marito, fidanzato lavora su turni, diventa difficile trovare un momento in cui incontrarsi, in cui andare al parco a passeggiare o andare in vacanza insieme. Non si cena più, non si pranza più, ci si incrocia e basta, ogni tanto, se tutto va bene. Una vita che ricorda molto da vicino quella descritta da Calvino nel suo racconto «l'avventura di due sposi» dove appunto i due sposi, che lavoravano uno di giorno e l'altro di notte, si incrociavano, di fretta, al bagno, quando uno finiva e l'altro iniziava la propria giornata.

Siamo sicuri che per potere comprare più «liberamente», cioè istigati da una pubblicità sempre più invasiva e penetrante, magari risparmiare qualche centesimo di euro, valga davvero la pena accettare quello che sembra essere sempre di più lo scenario descritto da George Orwell in 1984, dove ogni aspetto sociale veniva controllato dal grande fratello e ogni sentimento tassativamente proibito? Oppure una realtà simile a quella di Metropolis di Fritz Lang, dove, nella città sommersa, una sirena scandiva in due turni simmetrici da 12 ore la vita di uomini trasformati in automi, attaccati a macchine, privi di qualsiasi coscienza? Siamo sicuri che la completa deregolamentazione di tutto sia una questione di civiltà? Siamo sicuri che le liberalizzazioni portino posti di lavoro e non ulteriori fonti di sfruttamento di manovalanza a basso e bassissimo costo?

Forse vale la pena tenerci il negozio sotto casa che chiude alle sette ma il cui gestore si ricorda di noi, ci tiene il giornale o il pane da parte e la domenica andarcene a fare una passeggiata, perché, vi assicuro, se il supermercato è aperto voi ci andrete a comprare!

2 commenti:

  1. Al momento i grandi centri commerciali mantengono i prezzi al di sotto di quelli del piccolo commercio, fa parte della strategia per liquidare quest’ultimo e la quantità di merci vendute assicura ai grandi gruppi margini soddisfacenti di profitto, dato anche che possono servirsi di lavoro precario a basso costo. Quando essi avranno imposto condizioni di monopolio, allora potranno esercitare tutta la loro forza per spremere i consumatori.
    Il piccolo commercio è stata una delle attività fondamentali della piccola borghesia urbana. Le sue attuali condizioni di reddito non sono dissimili da quelle dei proletari. Ma molta della sua sopravvivenza dipende dall’evasione fiscale sistematica, da essa concepita come lotta di sopravvivenza contro lo Stato e la concorrenza. Essa è oggi un rimasuglio di ciò che era quando il fascismo la mobilitò contro il movimento operaio.
    Crollata l’illusione berlusconiana in cui essa si riconosceva completamente, oggi la piccola borghesia urbana si trova sul baratro della sua scomparsa come ceto sociale. Il capitale finanziario la sacrifica per acquisire il potere enorme di monopolizzare i commerci e utilizzarlo come forma di controllo e pressione sociale. E’ noto che i capitali dei grandi gruppi commerciali sono consociazioni internazionali gestite dalle banche.
    E’ evidente che per gli ultimi residui della piccola borghesia urbana e commerciale le prospettive future sono uno status di proletarizzazione, disoccupazione e precarietà. Ma bisogna stare attenti poiché è proprio da questi ambienti sociali che stanno riemergendo le tesi complottiste, l’antisemitismo di ritorno, il razzismo contro gli extra-comunitari.
    Di fronte alla proletarizzazione forzata della piccola borghesia urbana, il proletariato non può più combattere con gli strumenti, ormai anacronistici, della democrazia parlamentare borghese, un nemico di classe che ha finalmente gettato la maschera, uscendo allo scoperto e ponendosi direttamente al vertice di Stati come Italia e Grecia.

    (continua al link sotto)

    http://laclasseoperaia.blogspot.com/2012/01/un-blocco-sociale-contro-il-regime-dei.html

    Luigi

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