lunedì 26 dicembre 2011

In Lapponia



C’è chi in Lapponia con oltre venti gradi sotto zero alle cinque di mattina se ne sta a fare la posta a una grossa aquila reale che volteggia solo per la gioia del turista e del suo tour operator. Sicuramente il turista italiano non è un cassaintegrato di Marchionne o un licenziato di Trenitalia. Nemmeno del mio coinquilino si tratta, il quale in questo momento, alle 6.43 del mattino, santo Stefano, parte per l’officina. I camion qualcuno li deve pur riparare se no la “crescita” si fotte. Per lui la "fase due" sono trent’anni che inizia a quest’ora e nessun giornalista de Il Sole 24ore se n’è mai accorto.

* * *

Giusto nel dicembre 2001, dieci anni fa, l’Argentina, uno dei paesi potenzialmente più ricchi al mondo, “l’allievo modello da imitare” secondo il dépliant del Fondo monetario internazionale, entrava nel baratro del fallimento. Il presidente della repubblica Fernando De la Rua, dopo aver applicato alla lettera i dettami delle banche sul “deficit zero” (ora si chiamerà in Italia “pareggio di bilancio”) scappava in elicottero e in tre settimane si succedevano altri quattro presidenti. Una trentina di morti sulle strade. Il ministro delle Finanze, imposto nuovamente dopo i disastri degli anni Novanta dai banchieri americani, era un tal Domingo Cavallo, della Commissione trilaterale (a qualcuno dice qualcosa?).

Cos’era avvenuto? Esattamente quello che sta per succedere in Grecia e poi accadrà in Italia. I soliti cuochi che avvelenano con le loro ricette neoliberiste: una spirale demenziale fatta di privatizzazioni, taglio di salari e pensioni, aumento delle tasse e dell’Iva. A un certo punto bloccarono i conti correnti, la maggior parte in dollari. Quando infine li restituirono diedero ai depositanti solo pesos a un cambio che si può immaginare. Pensa un po’, depositi in euro, titoli in euro e quando li vai a prendere ti danno lirette.

Mi riferivo proprio a questo quando in un post dell’altro ieri scrivevo: Il potere è un rapporto di forza tra le classi e la junta Monti e gli infami che la sostengono non sono solo l’espressione politica di una classe, la borghesia parassitaria in tutte le sue stratificazioni, bensì l’espressione diretta di un progetto economico, politico, ideologico di controllo sociale totale.

Ma queste sono parole inutili, il giocattolo Berlusconi funziona ancora. O così oppure il fallimento; o così o richiamo il babau. Berlusconi, a parte i suoi sporchi affari e le maialate, in questo gioco è solo una pedina. Per il momento deve starsene buono, uscire con meno danni possibili dai processi, così come gli hanno promesso – c’è da scommetterci. Il bersaglio grosso è il patrimonio italiano, il Britannia II (*), come ho già scritto l’8 ottobre.

Intanto in Grecia i suicidi sono aumentati del 30%, la disoccupazione è almeno al 20%, si sono tagliati salari e pensioni e si procede al licenziamento dei dipendenti pubblici. Dicono che la situazione italiana non è paragonabile a quella greca. Date tempo ai neoliberisti, ai banchieri, ai professoroni del cazzo. Vedrete cosa sono capaci di combinare, le liberalizzazioni delle farmacia e dei taxi sono solo fumo negli occhi. Svenderanno tutto quello che è possibile e in due o tre anni saremo alla fame.

Già, tocca alla Grecia fare da apripista. Essa è un piccolo paese con il cappio al collo, ostaggio dei banchieri. Può salvarla solo una rivoluzione, di quelle vere. Non gliela lasceranno fare, sarebbe un esempio clamoroso e da imitare. Ma il 2012, contrariamente alle attese, potrebbe essere l'anno buono per far saltare anche l'Inghilterra. Vedremo.

(*) Era il 2 giugno 1992, festa della Repubblica, quando a bordo del «Britannia», il panfilo della regina Elisabetta, oltre centro tra banchieri, uomini d'affari, pezzi da novanta della finanza internazionale anglo-americana (tra gli ospiti eccellenti anche George Soros), si incontrarono per un summit urgente organizzato straordinariamente al largo delle coste tirreniche, tra le acque di Civitavecchia e quelle dell’ Argentario. Argomento forte del meeting a bordo, le privatizzazioni italiane. Si discusse del programma di dismissioni da parte dello Stato e di come “finanziarizzare” il sistema economico italiano. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, tra loro Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, che nel suo discorso sostenne che il principale ostacolo ad una riforma del sistema finanziario in Italia era rappresentato dal sistema politico. Il ministro del Tesoro era Piero Barucci, il governatore di Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, anche lui invitato a bordo del panfilo. A palazzo Chigi invece c’era quel galantuomo di Giuliano Amato, eminenza grigia di Craxi e uomo di ogni stagione. Imbarcato anche Romano Prodi e il direttore di Bankitalia Lamberto Dini. Solo di recente, anche l’attuale ministro Giulio Tremonti ha ammesso che era a bordo, “ma solo come osservatore”.

1 commento:

  1. La mamma dei banchieri è sempre incinta, come quella dei cretini. Viene da pensare che sia la stessa.

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