mercoledì 2 novembre 2011

Nemici dell'umanità



Un’operaia dell’Electrolux di Susegana, oggi in sciopero, gridava: «Vorrei vedere i politici alla catena, dove un frigorifero ti passa davanti ogni 45 secondi e non hai neanche il tempo per respirare. Come si fa a lavorare in queste condizioni fino a 67 anni?». Chiunque, per qualunque motivo, difenda questo stato di cose è un nemico dell’umanità. Ciò che essi chiamano società civile è solo la società dove gli uomini e le donne sono merce. Ciò che essi chiamano libertà è solo la libertà di pochi di disporre della libertà degli altri, una libertà fittizia che si regge sull’abominio della schiavitù, dove il lavoro è solo fatica e la vita viene precocemente raggrinzita nella scatola della sopravvivenza. Non è vero che abbiano ragione dal loro punto di vista: il torto sta nel loro punto di vista, nella loro “ragionevole” ideologia che traduce inevitabilmente il pensiero e gli interessi degli schiavisti.

Non possiamo più credere alle parole dei guardiani di un’epoca che poggia la propria autorità sulla violenza, l’intimidazione, la paura, l’ignoranza e la superstizione. Non possiamo più ridere dei suoi clown. Non possiamo più accettare un mondo che non possa essere cambiato da chi produce tutta la ricchezza. Per cambiarlo è necessario distruggere coloro che con ogni mezzo impediscono il cambiamento.

Per realizzare il cambiamento è necessario creare forme di organizzazione nuove. Non importa se non ne vediamo già ora di pronte all’uso, esse verranno determinate dalla necessità delle cose; però deve essere chiaro, nel momento in cui la crisi cerca sbocchi sempre più autoritari e il ruolo politico della borghesia è sempre più in discussione, che solo il marxismo, come scienza ed esperienza,  può mettere in luce il fondamento autentico della lotta di classe così come quello della crisi e della decadenza della formazione sociale capitalistica.

L’idealismo nella concezione borghese dell’economia porta necessariamente all’idealismo nella politica e al fraseggio riformista. È questo il pericolo di un’analisi tutta tesa a vedere il problema della crisi anzitutto come problema di ridistribuzione della ricchezza (che certo esiste), ma infine trascura il momento decisivo che mantiene in piedi l’ordine della schiavitù e il suo universo mercantile.

8 commenti:

  1. Immagine toccante, bellissimo post.

    The workers' flag is deepest red,
    It shrouded oft our martyred dead;
    And ere their limbs grew stiff and cold
    Their life-blood dyed its every fold.

    Ma non c'è ancora abbastanza rabbia. Possibile che solo il 60% dei greci rifiuti lo schiavismo UE?

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  2. Se la Grecia boccerà il piano UE, forse si potrà vedere una luce del profondo e sostanziale cambiamento a cui questo bellissimo post fa riferimento.

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  3. Credo che l'universo mercantile della formazione sociale capitalista stia attraversando l' inderogabile crisi a cui era destinato. Un passaggio obbligato dalla perdita di identità sociale.
    Forse il problema risiede davvero nel pensiero borghese di un economia democratica ideale, e nel fraseggio politico riformista.
    L'ignoranza tuttavia ha maggiore responsabilità.
    Si può quindi fare qualcosa in più che stare a guardare.
    Credo poi sia impossibile impedire un cambiamento direi fisiologico, biologico, destinato ad avvenire.
    Credo che questo tipo di crisi non cercherà sbocchi autoritari che minerebbero totalmente, oggi, la credibilità a qualsiasi ideologia o religione.
    Sarà forse un bene costruire un pensiero di cui il marxismo faccia parte come scienza ed esperienza, ma sia anche essenzialmente un pensiero in grado di creare emancipazione e partecipazione.

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  4. Il post, ben scritto, risulta quasi un...compiacimento.
    L'autore, sa benissimo cosa deve cambiare in questo modo di produzione, ne ha dato prova ampiamente, ed il fatto che non articoli chiaramente la visione del movimento politico, che dovrebbe portare all'attuazione dei mutamenti radicali, nei rapporti di produzione del sistema, la dice lunga sul suo essere una specie di topo da biblioteca, e non un filosofo della prassi.
    Nonostante tutto, un saluto.

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  5. Niente cambierà in meglio fino a quando si salterà felici, applaudendo e sbandierando vessilli di schieramento davanti al solito vendidote di ciarle bruciate.
    I pochi che sanno analazziare lo stato delle cose, che in sordina predicano quanto bisognerebbe fare, non hanno abbastanza fegato per ri-capovolgere l'ordine del mondo.
    Buona Giornata

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  6. Ma in un nuovo sistema economico organizzato, ideale e morale, come si produrrano le merci, se si produrranno ancora? Senza industria, privata o collettiva, lavorando un numero di ore inferiore alle attuali? Per quanti anni e fino a che età si sarà considerati produttivi? Con quali gerarchie umane? Nella storia dell'umanità, remota o meno, non trovo esempi confortanti. La società si è sempre costruita e costituita intorno alle modalità della produzione dei beni materiali intesi indispensabili alla propria sopravvivenza. Non vedo alternativa al lavoro variamente disciplinato. Evviva l'utopia, quindi, che ci consente, oggi, di sopportare quello che appare come insopportabile, lottando quotidinamente contro l'iniquo, in attesa di un futuro di liberazione. Senza alcuna ironia, ma amaramente: un cristianesimo laico.

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  7. "Per cambiarlo è necessario distruggere coloro che con ogni mezzo impediscono il cambiamento."

    E come li distruggiamo? Fintanto che la gente ha il frigorifero pieno e la testa ricolma dell'inutilità consumista, mele morsicate, maometti e padri pii, dubito si muoverà qualcosa più grosso che qualche lamentela su faccialibro e un paio manifestazioni pacifiche.

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