domenica 9 ottobre 2011

Il patito dell'eros


Chi controlla il voto, si sa, ha in mano il pallino del potere politico. Per avere il controllo del voto c’è bisogno anzitutto che determinati assetti e programmi politici trovino l’appoggio del potere economico ed ecclesiastico (in molte zone del Sud anche quello dell’illegalità organizzata: i Borboni, sia pure a modo loro, riuscirono a governare le Due Sicilie, l’Italia unita nemmeno una). Detta molto spiccia: con la selezione degli investimenti, la gestione delle clientele e il controllo della struttura amministrativa pubblica e giurisdizionale si viene a creare un tessuto sociale adatto a una determinato progetto di dominio. In seguito, consolidata una geografia del potere, vengono a prevalere gli interessi particolari dei singoli gruppi e consorterie che si esprimono politicamente nella creazione delle “correnti” e delle relative lotte intestine.

Per quanto riguarda il tanto decantato potere dei media, esso esiste in generale solo come diretta espressione degli interessi dei partiti, del capitale e della Chiesa. Anche l’efficacia della cosiddetta Rete è circoscritta a movimenti di protesta alquanto eterogenei e dispersivi, idiosincratici a progetti politici strutturati e anzi abbagliati dal carisma spettacolare e piccolo borghese di certi personaggi in cerca di proventi d’autore.

Un discorso a parte meriterebbe, senza insistere troppo sulle sfumture, il potere della magistratura, all’interno della quale singoli e correnti credono di poter giocare, facendosi carico di attribuzioni improprie, un ruolo autonomo e addirittura di supplenza istituzionale, ma in effetti subalterno ai poteri decisivi.

Pertanto la cosiddetta “forza delle idee” e dei programmi politici può fare ben poco se non c’è convergenza con gli interessi prevalenti dei “poteri forti”. Nella migliore delle ipotesi si può mettere in piedi un’opposizione che contrasti l’azione delle forze dominanti su una strada spesso irta di compromessi e rinunce. Oltre non si va, a meno di snaturare completamente il proprio progetto alternativo, sia pure sul piano riformistico, di società. Ed è proprio quello che è successo nelle esperienze infauste dei governi di centrosinistra.

Eugenio Scalfari, nei dintorni di questi temi nel suo consueto editoriale domenicale, la butta invece dapprima sul piano psicologico, cioè sul piano degli atteggiamenti soggettivi, del “buono” e del “cattivo”. Scrive:

«Bontà e cattiveria, egoismo e altruismo, interessi particolari e solidarietà sociale non descrivono una società antropologicamente spaccata in due. Sono piuttosto due vocazioni naturali, due istinti che albergano in ciascuno di noi. In ogni individuo e in tutti i luoghi della Terra quei due sentimenti sono presenti e la storia delle persone, delle comunità, delle nazioni altro non è che il confronto dialettico tra quelle due forze che si contrastano».

Non quindi la lotta tra le diverse classi sociali, tra interessi consistenti e divergenti, ma la lotta tra “vocazioni naturali, tra due istinti che albergano in ciascuno di noi”. A tanto è scaduta la lettura sociologica della realtà da parte di Scalfari, semmai ne abbia avuta una migliore. Non voglio con questo eludere l’importanza di sottoporre all’analisi l’influsso di taluni aspetti della psicologia sull’agire economico e sociale, ma laddove non esiste un approccio scientifico che si occupi con sicura affidabilità delle leggi specifiche della vita e dello sviluppo della società, come nel caso di Scalfari, si ha a che fare con lo psicologismo biologicizzato che disperde le leggi della vita e dell’evoluzione storica nella fisica e nella chimica, cioè nei meri istinti naturali, come se ci si dovesse occupare del comportamento di una colonia di topi con diritto di voto.

«Queste riflessioni sulla natura della nostra specie – prosegue Scalfari – non hanno soltanto un valore antropologico, contengono anche un insegnamento politico e una speranza per quanti confidano e lottano per un mondo migliore. Le divisioni restano, il confronto tra le due vocazioni [naturali] continua, come continua la contrapposizione tra i diversi modi di concepire il bene comune, ma il valore politico […] è di non disperare del futuro e di non abbandonarsi all'indifferenza e all'apatia. […] Il vento nuovo che spira con sempre maggior lena in tutto il Paese muove in questa direzione, non spinge verso una o l'altra delle parti politiche in accesa competizione tra loro, ma spinge verso il futuro, verso una nuova modernità che congiunge insieme sobrietà, efficienza, sviluppo, solidarietà».

Di quale sangue e carne sia fatta questa nuova modernità noi invece sappiamo bene, anche perché il futuro e anzitutto il presente non lo vediamo dalla finestra dell’attico di Scalfari. Tale futuro si chiama finanziarizzazione dell’economia, deindustrializzazione, delocalizzazione, taglio lineare del welfare, attacco ai diritti, emigrazione, disperazione. E vedere in questo fallimento la causa fondamentale in Berlusconi (al quale va ascritta sicuramente un colpa non lieve) è certamente riduttivo e fuorviante, soprattutto perché in tal modo si eludono i temi decisivi di lungo corso sulla natura del capitalismo.

«Rendiamo onore a quanti, in anni torpidi e tristi, hanno resistito alimentando la speranza anche quando sembrava ridotta alla luce incerta d'una lucciola nelle tenebre. Ora sta tornando a rifulgere in mezzo alle procelle della crisi che continua a infuriare».

Dovremmo dunque rendere onore anzitutto alla patetica lucciola scalfariana, lume che rifulge nell’oscurità berlusconiana e in mezzo alla tempesta della speculazione e della crisi. Il liberale illuminato invoca il cambiamento, il passaggio dalla vecchia frusta senza nerbo a una nuova, fatta di sobrietà (ancora di più?), di efficienza (ancora lavoro), di solidarietà (accontentarsi delle briciole). Sulle reali cause e responsabilità del disastro, come detto, sorvola, come sempre in un solido e avveduto liberale.

8 commenti:

  1. Gentile Olympe. Temo sia da lei, come di consueto, resa chiara l'analisi della nostra attuale complessa condizione. Analisi, invero, che appare piu' sottilmente leninista che marxiana, ma che, a mio avviso, pecca di una mancanza di prospettiva. Escludendo la possibilita' immediata di una via rivoluzionaria alla liberazione delle classi subalterne(direi per mancanza di materia prima),quale alternativa rimane agli sfruttati, edotti o meno, se non la speranza espressa dall'illuminato liberale Scalfari? Sulle reali cause e responsabilita' non si puo', invece, che mestamente concordare.

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  2. cara amica/o,

    la speranza espressa dall'illuminato liberale Scalfari è appunto una speranza, una pia illusione che non ci cav fuori da questo pantano

    è proprio negando la possibilità stessa dell'alternativa che gli illuminati liberali continuano a farla franca da lunga pezza, è il loro mondo questo, non il nostro. noi siamo qui solo per servirli e loro ne sono i padroni

    il futuro prossimo (prossimo in termini storici) ci riserva delle sorprese, forse degli imprevisti, e ciò che oggi ci appare quasi impossibile diventerà una necessità

    dipende tutto dalla piega che prenderà la crisi che, come scrivo spesso ed è evidente a molti, non è una semplice crisi di ciclo ma di sistema, nel suo complesso, una crisi economica e politica, di sostenibilità e di progetto

    a pietroburgo, agli inizi del secolo scorso, c'erano non più di 5000 comunisti e non molti di più in tutta la russia, anche se non credo che la storia si ripeta identica ma sempre con alcune varianti

    ciao

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  3. http://laclasseoperaia.blogspot.com/2011/10/20-tesi-sulla-crisi.html

    Nel link su, viene resa edotta, l'alternativa che abbiamo di fronte alla situazione di crisi sistemica che abbiamo di fronte.
    In particolare al punto 19 e 20 dell'articolo.
    Leggetelo, e discutiamone.

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  4. Dimenticavo, dell'autore dell'articolo segnalato (V.Giacchè) voglio segnalare anche un ottimo saggio (scritti scelti di K.Marx) con un ottimo saggio introduttivo dello stesso Giacchè.
    Libro davvero pertinente, alla crisi che stiamo vivendo.
    Eccone il link:

    http://www.deriveapprodi.org/2009/09/il-capitalismo-e-la-crisi/

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  5. Gentile Olympe,
    vediamo se ho capito bene.....
    I Capitalisti amministrano e quindi amminestrano.
    Distribuiscono brodaglia agli schiavi di loro proprietà in misura scientifica. Non al di sotto della soglia di ribellione. Pochi vengono saziati a dovere, la maggior parte va a letto con lo stomaco che brontola. Siccome però questo succede dalla nascita, qualcuno non ci bada nemmeno. La maggioranza, visto che c’è il BauBau della Crisi (io ho quarant’anni e mi ricordo di essere in crisi da sempre) si guarda bene dal tentare la fuga, anzi, prima di dormire si assicura di lucidare per bene le catene e mettere qualche lucchetto supplementare, per paura che gli vengano rubate la notte. A ragione anche. Visto che la predazione delle risorse, naturali e morali, crea masse di disperati destinate (dai Soliti, non dal Destino) a morire di fame.
    A una minoranza degli schiavi e a una buona (ma non sufficiente) fetta di “non occupati” rode il cosidetto per la situazione e protesta belando.
    Nulla cambiando (ho fatto pure la rima).

    Ispiratosi al Signore Degli Anelli sto Scalfari evoca la lotta tra il Bene e Il Male, la Luce e le Tenebre e, quando tutto sembra perduto, un vascello di Morti viene a salvarci a dieci minuti dalla fine del Film....

    Li mortacci loro....

    Distinti saluti,
    Ettore.

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  6. a proposito di giacché, mi pare che dica sostanzialmente le stesse cose che da sempre scrivo qui

    non sono invece d'accrdo sulle "ricette" per uscire dalla crisi

    se la crsi è di sistema si esce dal sistema, le riforme sono un placebo

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  7. ringrazio per il parziale recupero del layout precedente. E'sparita la staccionata ma almeno sono tornate le baccanti.Il bello aiuta anche a pensare meglio.
    saluti

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  8. la staccionata è servita per far legna
    ciao

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