lunedì 3 ottobre 2011

Giaguari



A vederlo sembra una faccia onesta e a sentirlo si ricava l’impressione di un uomo sincero. Insomma, la maschera del buon senso concreto, apparentemente senza guarnizioni. Ma non bisogna giudicare i lupi dal colore del pelo, e del resto si è laureato con una tesi sul cristianesimo antico, perciò è uno pratico di fandonie quanto un capo sindacalista. Ieri sera in mezz’oretta non ha detto nulla, salvo che siamo la settima potenza industriale, tra i dieci paesi più ricchi del mondo e che ce la caveremo. È un ottimista, il giaguaro smacchiato a minaccia di querela. Basterà seguire la ricetta del partito democratico (*). E di programmi della “sinistra” credo sia bastato quello alluvionale di prodiana memoria a conferma della buone intenzioni.

Ha parlato di tassare i patrimoni “scudati”, proprio quelli che il Pd con premeditazione e determinazione ha favorito un paio di anni fa. Quindi di tassare i grandi patrimoni immobiliari. Sicuramente non quelli vaticani, come ci ha graziosamente già fatto sapere, e nemmeno quelli degli amici.

Loro non difendono la proprietà per difendere la roba, cosa che può fare uno con gli appetiti volgari come Berlusconi; loro invece la difendono in nome e per conto della libertà dell’individuo. Perciò gli ex stalinisti si dichiarano “liberali”.

Potranno vincere le prossime elezioni, forse, il tempo per appiopparci qualche mazzata in nome dell’emergenza, della patria in pericolo sotto l’attacco dei mercati. “Saremo mica la Grecia, noi?). Pare di sentirli lanciare la sfida magnificamente disastrosa. E di vederli: il filone del Tavoliere lampeggiare per Roma quale ministro della fraternità ospedaliera. Prevarranno quindi le divisioni, le rotture provocate dagli agenti kennediani infiltrati e dalle quinte colonne vaticane, dalla teppa pannelliana. Poi ex berlusconiani e clericali di ogni risma torneranno a fare gruppo, il solito grande transito di armi e bagagli, un po’ di qui e un po’ di là.

A milioni, ipnotizzati dall’ammuina televisiva, non si accorgono che i luoghi dell’opposizione politica non esistono più e che chi controlla i mezzi determina anche i fini.

«Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletario o anche tutto il proletariato si rappresenta temporaneamente come fine. Ciò che conta è che cosa esso è e che cosa sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo suo essere. Il suo fine e la sua azione storica sono indicati in modo chiaro, in modo irrevocabile, nella situazione della sua vita e in tutta l’organizzazione della società civile moderna».

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(*) Per esempio?
«Due obiettivi: crescita del tasso di occupazione femminile al 60% in 10 anni (3 milioni di donne occupate in più) e aumento della specializzazione produttiva dell’Italia», sta scritto nel loro sito.
La Strategia di Lisbona del 2000 puntava a raggiungere per la media europea un tasso di occupazione femminile pari al 70 per cento entro il 2010.
Ma qual è la situazione dell’occupazione femminile in Italia? Vediamo le cifre dell’Istat: per le donne il tasso si colloca appena al 47,2 per cento. Essendo le donne occupate circa 9.340.000, significa creare 1.200.000 posti di lavoro per le donne in dieci anni e non 3 milioni (e quando li creano 300mila posti all’anno per le donne?). Cioè 120mila posti l’anno. Attualmente l’incremento è di circa 90mila l’anno e la media cresce dell’1%.
Ma la cosa più stupefacente è la boutade sull’aumento della specializzazione produttiva dell’Italia. Con l’art. 7 degli accordi di giugno?

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