giovedì 11 agosto 2011

Processi storici di lungo periodo


Il declassamento del rating degli Stati Uniti del 5 agosto 2011 sarà riconosciuto come una delle date di svolta nella crisi storica del capitalismo americano e mondiale insieme al 15 settembre 2008, il giorno in cui è crollata Lehman Brothers, e il 15 agosto 1971, il giorno in cui il presidente Nixon ha messo fine alla convertibilità del dollaro in oro. Queste tre date sono legate da una catena causale di eventi che registra il declino storico del capitalismo americano, e con essa, dell'intero ordine capitalistico mondiale.

Sul motivo del downgrade di Standard and Poor’s ne ho già parlato, sostanzialmente è stata espressa dall'agenzia di rating l’insoddisfazione per l'entità dei tagli, che significa tagli al Medicare e altri programmi sociali.

La decisione da parte della Federal Reserve di lasciar invariati i tassi d’interesse per almeno altri due anni è, come detto nel post precedente, un'ammissione che le sue politiche hanno fallito e non vi è alcuna prospettiva per il "recupero" dell’economia americana.

Tutto questo è il risultato di processi storici di lunga pezza e vasta portata che si riflettono nella crescente turbolenza finanziaria. Alla base del caos del mercato è il declino protratto e irreversibile del potere economico degli Stati Uniti, che ha svolto il ruolo fondamentale nella stabilizzazione del capitalismo mondiale dopo la seconda guerra mondiale. Ma tale declino non è semplicemente un fenomeno americano. Si tratta di un’espressione concentrata della crisi dell’ordine capitalistico mondiale.

Scrivevo il 4 agosto: la formazione di un’immensa massa sovrabbondante e vagante di capitale monetario, la conseguente speculazione nei mercati finanziari, le crisi cicliche che si susseguono per svalorizzare questa pletora di capitali, non sono altro che conseguenze dell'insufficiente capacità di auto valorizzazione del capitale nella sfera della produzione.

Il segno iniziale del declino degli Stati Uniti è apparso esattamente nell’agosto di 40anni fa (personalmente lo ricordo bene), quando il presidente Nixon è andato in televisione per annunciare al mondo che d'ora in poi l'America non avrebbe più onorato i suoi impegni nel quadro dell'accordo di Bretton Woods. Tale decisione mandava in frantumi il sistema di scambi in valuta fissa, che avevano giocato un ruolo decisivo nel rilancio commerciale del dopoguerra e degli investimenti globali dopo le devastazioni delle svalutazioni competitive degli anni 1930 e della crisi.

La rimozione della convertibilità del dollaro in oro non era però la fine del ruolo del dollaro come valuta di riserva globale, ma voleva dire che il sistema monetario internazionale aveva perso il suo sicuro ancoraggio e la situazione economica e finanziaria sarebbe diventata sempre più volatile. Questa instabilità si è riflessa varie volte in una serie di tempeste finanziarie: il crollo del dollaro USA nel 1979, che ha portato all'istituzione di rialzi record di tasso di interesse da parte del presidente della Federal Reserve, Paul Volcker; la crisi del debito latino-americano dei primi anni 1980; il crollo globale del mercato dell'ottobre 1987, eccetera.

In risposta al crollo del 1987, il neo capo della Federal Reserve, Alan Greenspan, ha istituito la politica che doveva essere implementata da lì in poi: qualsiasi crisi finanziaria sarebbe stata affrontata con l'apertura di rubinetti del credito della banca centrale, cioè con la fornitura di denaro a buon mercato alle grandi banche e istituzioni finanziarie (come del resto avviene tutt’ora). Questa politica ha favorito la crescita drogata dell'economia degli Stati Uniti nei successivi 20 anni, ma lo ha fatto attraverso la promozione di forme sempre più parassitarie di accumulazione di ricchezza.

Detto alla buona, il capitalismo statunitense era salito al dominio mondiale sulla base della produzione industriale, facilitato dalla produttività del lavoro e dalla disponibilità di enormi risorse. In seguito, da un lato, l'industria veniva distrutta e la produzione delocalizzata per mantenere alti i tassi di valorizzazione e combattere la caduta tendenziale del saggio generale del profitto; dall’altro lato e sempre per lo stesso motivo, si apriva alla finanziarizzazione della produzione come la principale fonte di profitti, un processo enorme basato essenzialmente sulla carta che assumeva le forme grottesche della bolla immobiliare e dei sub-prime.

Anche se l'economia americana ha avuto espansione negli anni 1990 e 2000, questa crescita ha mascherato un’altra contraddizione profonda: la moneta di riserva globale, il dollaro, è la valuta della nazione più indebitata del mondo. Questo non era mai successo prima nella storia del capitalismo globale.

Nei decenni prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, l'economia globale si basava sulla sterlina britannica che valeva effettivamente come l'oro, perché la Gran Bretagna era il fornitore principale di capitale al resto del mondo. La guerra mondiale ha colpito in modo molto duro la posizione finanziaria della Gran Bretagna, da cui non si riprese mai. In assenza di una valuta che poteva funzionare come moneta mondiale, il sistema finanziario internazionale si disintegrò nel periodo tra le due guerre e l'economia mondiale si divise in blocchi valutari rivali. Solo con l'ascesa al dominio globale degli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale fu dato un nuovo sistema finanziario internazionale stabile. Questo sistema è ora in avanzato stato di disgregazione a seguito della decadenza del suo pilastro centrale, l'economia americana.

Il significato del downgrade riflette la realtà che la "probabilità zero" di default degli Stati Uniti e la possibilità di poter "sempre stampare denaro" per pagare i propri debiti, non regge più. Il capitalismo mondiale è ormai senza un sistema monetario stabile. Sotto il capitalismo, il denaro deve svolgere due funzioni principali: mezzo di scambio e riserva di valore. Entrambe queste funzioni sono state completamente interrotte dal precipitare del valore del dollaro, con le conseguenze che di volta in volta vediamo.

Non esiste un insieme di politiche economiche o di meccanismi regolatori in grado di risolvere l'attuale crisi. Tutto lascia presagire il ritorno a una forma ancora più esplosiva delle condizioni degli anni 1930 e della rivalità dei blocchi economici, con un’alta possibilità che ciò porti a conflitti tra i più distruttivi della storia.

4 commenti:

  1. Quindi guerra in vista? Ma contro chi? Quale nemico all'orizzonte?

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  2. Il capitalismo crea per distruggere e distrugge per creare. Un nemico inventato ad arte si trova sempre.

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  3. Crescente tensione tra il blocco USA-NATO vs Cina&Co.?

    E' un'ipotesi che inizio a trovare con più insistenza del solito in rete ed altrove.
    E i dati per ipotizzarla, in effetti, non mi sembrano mancare totalmente.

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  4. Di cosa preoccuparsi di più: di come finirà o di cosa inizierà dopo?

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