venerdì 1 luglio 2011

Il tempo che non tornerà più

We refuse to be
What you wanted us to be;
We are what we are:
That's the way it's going to be.


Stiamo vedendo in questi giorni il caso della Grecia, dove, per dirla con Wolfgang Münchau, editorialista leader del Financial Times, e finora deciso fautore dell'austerità, è stato imposto un «programma politicamente, economicamente e moralmente difficile da giustificare». Il titolo dell’articolo è eloquente: Maybe Greek MPs would be right to say No. La combinazione delle misure che Atene è stata costretta ad adottare, invece che favorire il risanamento attraverso la crescita economica, strangoleranno definitivamente il paese, regalando quel poco che gli è rimasto alle multinazionali.

Non si tratta semplicemente della crisi di un anello debole della catena dell’euro, ma del fallimento delle politiche liberiste supportate da un’ideologia scaduta che in nome della libertà di mercato ha asservito agli interessi dei più cinici filibustieri il pianeta segnando la crisi irreversibile non solo di questo sistema economico, ormai globale e integrato, ma delle stesse civiltà con le quali è venuto a contatto. Ciò che avviene in Nord Africa e nel Vicino Oriente è eloquente anche per il resto del pianeta. I prodromi per un’esplosione generalizzata della rivolta sono tangibili e perfino imminenti. Un mese o qualche lustro appena, cosa vuoi che sia all'ombra delle piramidi o della colonna Vendôme.


Presto anche l’Italia, come altri paesi Ue, sarà chiamata a fare i conti, per davvero, con il proprio debito pubblico e ancor più con la crisi di questo modello economico. Il movimento sociale che ancora timidamente vi si oppone è composto da gruppi sociali eterogenei, spesso marcati da uno spirito piccolo borghese e fiduciosi degli istituti burocratici della democrazia del denaro. Essi pensano ancora in modo ozioso che sia possibile riformare il sistema, ridargli tono e trasparenza con le leadership giuste, con il ricambio di nuove formazioni politiche.

Questa illusione, laddove presente, sarà agita ancora una volta dalle classi dominanti, certe di poter infine sfruttare il malcontento per quegli opportuni aggiustamenti che lasciano la sostanza delle cose inalterata. Gli oppiomani del profitto e i loro servitori credono di poter imbrogliare ancora una volta le carte, ma essi non dominano più, a questo stadio, la materia sociale e sarà la stessa violenza del sistema, quale risvolto delle normali contraddizioni capitalistiche, a spingere verso un’intensità estrema la rivolta e con esiti imprevedibili.

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