sabato 14 maggio 2011

Non siamo in guerra



Giorgio Napolitano ha detto che non siamo in guerra. Evidentemente ha come fonte d’informazione i telegiornali. E comunque dovrebbe dirlo ai tanti ragazzini schiantati qua e là in Libia, ai 42 civili del quartiere di Busilm a Tripoli. Non con bombe – dice il ministro La Russa – ma con “missili di precisione su obiettivi precisi”. A Brega sono stati uccisi da un attacco “preciso” 16 civili e altri 40 sono stati feriti. Il manifesto scrive che si tratta di lavoratori di una compagnia petrolifera e dei loro familiari. “Un rappresentante della Nato ha detto però di non sapere nulla dell'attacco”, scrive la Reuters. Poi, invece, la Nato pur non confermando “le notizie secondo cui sarebbero morti almeno 16 civili durante i bombardamenti di venerdì sulla città di Brega, esprime il suo rammarico per le eventuali vittime: Siamo al corrente delle affermazioni [?!] che parlano di alcune perdite civili legate al bombardamento - si legge in un comunicato -. Non possiamo confermare la loro validità, ma ci rammarichiamo per la morte eventuale di civili innocenti”.

Il segretario della difesa Robert Gates, ha dichiarato che il costo della nuova guerra agli Stati Uniti dal suo inizio il 19 marzo fino al 4 aprile, quando Washington ha ufficialmente lasciato il controllo degli interventi alla NATO, è stato di 750 milioni di dollari. Ma non trovano i soldi per la sanità pubblica.

Al terzo mese d'intervento in Libia, si pone anche la questione costituzionale per l'amministrazione Obama, che ha lanciato la guerra senza chiedere l'approvazione del Congresso degli Stati Uniti. Infatti, secondo la War powers resolution, approvata nel 1973, al presidente degli Stati Uniti è vietato l'invio di forze militari Usa in azione per più di 60 giorni senza una dichiarazione di guerra formale o di un'autorizzazione per l'uso della forza militare da parte del Congresso. Il termine scade la prossima settimana, ma secondo il New York Times, tra le opzioni c’è quella secondo cui gli Usa non sarebbero impegnati direttamente in Libia, ma fornirebbero solo “appoggio” (con centinaia di missili lanciati e migliaia di raid aerei); un’altra opzione prevede l'ordine di una temporanea "pausa" nelle operazioni militari Usa in Libia, e poi la loro ripresa in modo che si apre una nuova finestra di ulteriori 60 giorni in cui l'azione militare può essere continuata senza l'autorizzazione del Congresso. È la democrazia.

Intanto il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, giovedì scorso, ha pronunciato un discorso alla Johns Hopkins University (per il video clicca QUI), in cui ha parlato di un ruolo permanente della NATO in una "era post-Gheddafi" in Libia.

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