venerdì 13 maggio 2011

Le illusioni necessarie



È sufficiente a un paese per definirsi democratico che si voti, a prescindere per chi e per cosa si possa votare? Un paese dove i candidati sono scelti dalle segreterie dei partiti o quando addirittura dal proprietario di fatto di un partito? O dove i partiti si presentino palesemente come delle consorterie burocratiche sostenute anzitutto dalle lobby affaristico-economiche, cosa che accade ovunque e comunque?

Per Aristotele la democrazia è il governo dei “poveri”, in quanto, da sempre, i “ricchi” non hanno necessariamente bisogno di un sistema politico democratico per far valere i loro “diritti”, ossia per imporre i propri interessi di classe e di ceto, a cominciare da quello del comando sulla forza-lavoro. Nei poveri invece tale necessità nasce prevalentemente dall’illusione di poter trovare corrispondenza tra i propri legittimi interessi e la rappresentanza politica parlamentare. Insomma la democrazia dovrebbe servire anzitutto ai poveri (i non ricchi) quale arma di difesa contro lo strapotere dei ricchi (grossomodo chi non ha necessità di prestare la propria capacità lavorativa in cambio di un compenso), ma quanto più la democrazia si riduce a involucro, cioè svuotata di contenuti, tanto più effimera diventa la sua efficacia anche dal punto di vista delle garanzie formali e del gradimento. Tale processo è sempre più evidente nell’atteggiamento dei partiti politici che hanno cessato di rappresentare, anche nominalmente, le “idee”, cioè gli interessi e le aspirazioni dei poveri.

Una frazione borghese più avveduta (ma minoritaria) si sta rendendo conto proprio del fatto che una democrazia senza “ideali”, laddove le ideologie sono sistematicamente denotate di discredito (tranne quella che le discredita), riesce meno forte e perciò meno funzionale di un sistema democratico là dove invece il consenso dei poveri è reso più robusto dall’illusione diffusa che le loro “idee” trovino rappresentanza politica nei partiti.

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