venerdì 1 aprile 2011

Liu Xiaobo su Saturno


Nell’inserto de Il Fatto, Saturno, di questa settimana, c’è una traduzione di un brano tratto dal libro del premio Nobel Liu Xiaobo, Estetica e libertà dell’uomo. Personalmente di filosofia m’intendo quel pochissimo che s’impara a scuola e per qualche sporadica lettura, perciò pazienza se le mie osservazioni sembreranno troppo rozze a un eventuale raffinato e barocco intellettuale che per avventura dovesse approdare in questo mio pianetino.

Il brano di Liu Xiaobo, pubblicate con il titolo Confucio e libertà, inizia con una citazione tratta da Rousseau: l’uomo è nato libero ma ovunque è in catene (sta in apertura all’opera Du contrat  social ou principes du droit politique). Quindi scrive: «L’uomo ha creato una società nella quale solo combattendo la natura con tutte le proprie forze ottiene un certo grado di libertà ma, allo stesso tempo, egli è intrappolato da una rete tessuta da privilegi, leggi e morale – tanto da non riuscire più a liberarsi. I privilegi fanno sì che l’uomo sia passivo e servile; le leggi impediscono all’uomo di agire liberamente; la morale assegna all’uomo norme e regole di vita a cui tutti devono aderire».

Qualunque interpretazione si voglia dare del pensiero di Rousseau, sia quale precursore addirittura dello Stato totalitario – «se Rousseau non ha il dispotismo nel cuore l’ha nel cervello», scriveva Guido De Ruggiero –, oppure, per contro, come un pensatore individualista che teorizza il liberalismo etico, resta il fatto che la sua frase ha bisogno di una precisazione forse essenziale: non tutti gli uomini sono in catene, e quelli che lo sono è perché costretti dal dominio di una minoranza. Non quindi le leggi astratte “impediscono all’uomo di agire liberamente”, bensì determinate leggi; non una morale qualsiasi “assegna all’uomo norme e regole di vita a cui tutti devono aderire”, ma principi e valori che sono prodotto di una determinata epoca e di una struttura sociale ben definita. Ecco quindi che i privilegi non cadono dal cielo e sono il risultato della divisione sociale in classi, non il portato di una condizione che consente agli uomini, da un lato, di raggiungere un certo grado di affrancamento dalla natura, ma dall’altro li costringe a restare prigionieri di una specie di metafisica sociale dalla quale non potrebbero liberarsi.

Certo che in ogni epoca storica si è assistito a fenomeni di sfruttamento, alienazione e ingiustizia ma essi sono l’espressione di determinate condizioni storiche e hanno come causa diretta i rapporti sociali e di produzione, specifici delle diverse epoche. L’evoluzione storica è arrivata a diffondere principi di uguaglianza e libertà un tempo inimmaginabili, anche se tutt’ora assai limitati e lacunosi poiché persiste, nonostante i generali progressi, una società ancora dominata largamente dalla competizione economica e dalle disuguaglianze di classe, dalla illibertà fondamentale a cui è soggetto non l’uomo astratto, ma anzitutto gli uomini  costretti a solgere la propria attività lavorativa in modo coattivo. Il salariato, irreggimentato come forza lavoro, costretto a produrre merci, subisce un’alienazione profonda che l’estranea da se stesso e dagli altri. I beneficiari di questo sfruttamento e di tale alienazione, di tale stato d’illibertà, non sono gli dèi, bensì altri uomini. Questa è anzitutto l’origine dell’illibertà, non le ciance profuse da Liu Xiaobo.

Scrive ancora Liu Xiaobo che l’uomo «costretto in una realtà necessariamente limitata, decide di creare a livello illusorio una libertà illimitata». A livello illusorio gli uomini creano anzitutto una trascendenza che offra loro una speranza dopo la vita, ma anche questo è frutto d’ignoranza e superstizione indotta dalle condizioni nelle quali sono costretti a vivere. Ma non è affatto vero che essi si limitano a creare e cercare solo a livello illusorio la loro libertà. Essi la cercano e la conquistano giorno per giorno lottando, anche quando non lo sanno, contro le classi sociali dominanti che si appoggiano alle idee di Liu Xiaobo e tendono a impedire quei mutamenti radicali che potrebbero consentire un grado infinitamente maggiore di libertà, anzitutto dal bisogno. Tale libertà è il fondamento di tutte le altre, poiché per filosofeggiare e dedicarsi alla speculazione e all’esperienza estetica, bisogna anzitutto aver sicura la propria situazione materiale e cioè avere del tempo libero che non sia necessariamente e interamente dedicato al riposo dalle fatiche del lavoro svolto per mantenere i tipi come Liu Xiaobo.

2 commenti:

  1. ah, bene. mi pare di capire che secondo lei, per le magnifiche sorti del proletariato oppresso, è giusto tenere in prigione (e perché no, torturare e magari eliminare fisicamente) un intellettuale parassita e mangiapane a tradimento come Liu Xiaobo

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  2. caro amica/a, mi sono permesso di criticarne le idee non di avallare l'atteggiamento del regime cinese

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