domenica 27 febbraio 2011

De rebus bellicis



Se la Libia fosse solo uno scatolone di sabbia, nessuno se ne occuperebbe più di tanto. È invece anche un mare di petrolio e gas, con sei milioni di abitanti (il reddito procapite più alto del continente, fatto salvo quello dei bianchi sudafricani) a cui vendere ogni sorta di merce. E poi armi. Si dirà che quelli in atto sono fatti clamorosi, così come gigantesche sono state le balle che ci sono state finora raccontate di bombardamenti aerei di città e di fosse comuni (vedi post). Notizie comunque molto meno rilevanti di quelle irachene. Anche lì ci sono le rivolte, con morti e feriti, ma in sottordine.
Tanto per fare degli esempi: il 17 febbraio ci sono stati almeno tredici morti e oltre trenta feriti nel bilancio provvisorio di un attentato dinamitardo compiuto con un'autobomba a Muqdadiya, località a nord-est di Baghdad. Il 25 febbraio altri 14 morti e 124 feriti, fra cui 17 poliziotti e soldati, e quattro edifici pubblici sono stati incendiati. Il giorno dopo quattro ingegneri iracheni sono rimasti uccisi in un attacco contro la principale raffineria di petrolio del paese, nella città settentrionale di Baiji. Sentito qualcosa nei telegiornali?
Torniamo in Libia. Enorme l’influsso della “campagna mediatica sistematica e massiccia d’informazione drogata, o di disinformazione, proveniente dall’estero, che non esita a ricorrere a bufale a volte spudorate”, scrive Maurizio Matteuzzi sul manifesto di oggi. “Tripoli appariva ieri tranquilla, più tranquilla di venerdì e dei giorni scorsi. Traffico normale, gente per le strade, pochi poliziotti e miliziani dal bracciale verde in giro …”. Eppure “Questo è il resoconto di quanto si è potuto vedere nella Tripoli di ieri. Oggi può essere tutt’altra storia. O già nella notte perché quando cala il buio la città, già difficile da decifrare alla luce del giorno, diventa un mistero. Un mistero fatto d’improvvise raffiche di kalashnikov che si sentono distintamente”.
“Gheddafi, a meno di imprevedibili e improbabili coup de théâtre finali, ha perso la partita”, conclude il corrispondente da Tripoli. Una partita giocata da avversari “misteriosi”, ma non tanto. L’intelligence di alcuni paesi arabi e europei ha lavorato bene, ma non ha ancora concluso. Le dichiarazioni recenti di Berlusconi e La Russa la dicono lunga sulla manona italiana.
Comunque vada a finire, per il popolo libico (certamente non per l’élite e i capi bastone locali) finirà male. Non c’è nessuna rivoluzione, né lì né altrove. I fattori che contano sono tutti saldamente in mano alla borghesia e ai suoi funzionari. Ci sarà solo un cambio di regime, una nuova spartizione del bottino, una nuova bandiera alla quale rendere omaggio, un nuovo inno da cantare nelle piazze.

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