giovedì 6 gennaio 2011

No, non è uno slogan

Su il manifesto di ieri l’altro, Piero Bevilacqua scrive un articolo in prima dal titolo: Gli operai, la Fiat e il Pd. Parla, citando Marx, della “legge fondamentale dell’accumulazione capitalistica” e delle strategie del sistema al fine di recuperare, attraverso l’estorsione del plusvalore assoluto, la tendenziale caduta del saggio del profitto. Argomenti e riferimenti che in questo blog ho trattato con frequenza quasi maniacale.

Scrive preoccupato Bevilacqua: «Siamo dunque giunti a una fase storica nella quale o noi costringiamo il capitalismo a cambiare, o esso trascinerà l’intera società industriale nella barbarie. Non è un’espressione di maniera. Non è uno slogan».
Lo sappiamo bene che tale allarme non è solo un modo di dire, ma vanno rilevate anche altre cose. Anzitutto che il modello di accumulazione non è un optional, si tratta della legge fondamentale (come appunto si evince dalla citazione marxiana) su cui muove contraddittoriamente il sistema e, pertanto, pensare di poter cambiare “il modello di accumulazione” lasciando in vita il sistema, è un non senso e un’illusione pericolosa (del resto, oltre le crisi economiche, due guerre mondiali e un numero infinito di conflitti e di devastazioni di ogni tipo dovrebbero pur averci insegnato qualcosa).
Bisogna invece dire che il capitalismo è fallito e non ci riguarda più se non come sistema antagonista che ha raggiunto il suo limite storico e va superato, appunto perché, come scrive l’articolista e tutti riconoscono, “il tracollo economico in cui siamo immersi non è la solita crisi ciclica”. Ma non mi pare che Bevilacqua voglia dire precisamente questo, visto che scrive di uscire “dal presente imballo sistemico” ma soggiunge: “attraverso una gigantesca opera di redistribuzione della ricchezza”, cioè ritornando, pare di capire, a politiche di contrasto e di riforma di tipo novecentesco.
Anche il concetto di “fronte di conflitto sociale di non comune ampiezza”, resta assai indeterminato sia per quanto riguarda l’obiettivo, le forze, l’organizzazione, l’ampiezza (che non potrà avere dimensione meramente nazionale).
Anche dal punto di vista teorico quindi mi pare che ci sia molto su cui riflettere e tanto da recuperare. Comunque il tempo ci dirà se e come le nuove generazioni vorranno affrontare questo stato di cose e farsi carico di un compito che non è da pigliare a gabbo.  

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