lunedì 6 settembre 2010

La morale del rendimento lasciamola ai padroni (e ai loro servi)


Fa sorridere la compiaciuta pretesa degli agenti della produzione borghese, sostenuti dalla stampa di “sinistra”, riguardo la necessità di mettere fine alla lotta di classe, come se questa fosse il risultato della cattiveria operaia e sindacale e non, invece, il portato del rapporto capitalistico stesso.
«Sfortunatamente i padroni e gli operai si trovano in guerra perpetua, gli uni con gli altri. Lo scopo invariabile degli uni è di avere il loro lavoro fatto al minor prezzo possibile, e non mancano di applicare a questo scopo ogni astuzia; mentre gli altri sono egualmente attenti a costringere ad ogni occasione i loro padroni ad accettare le loro maggiori richieste».
Marx? No, si tratta di un reverendo inglese, tale Nathaniel Forster, che scrive di economia politica nel 1767, cioè in un periodo storico antecedente il sequestro della scienza economia da parte del capitale a uso apologetico. Del resto, se così non fosse, cioè se l’economia politica non fosse diventata la dottrina al servizio del capitalismo, dovrebbe essere evidente a qualsiasi persona onesta che i salariati non hanno inventato la lotta di classe così come i capitalisti non hanno inventato il pluslavoro.
Scrive Marx al riguardo:
«Il capitalista, cercando di rendere più lunga possibile [e più intensa] la giornata lavorativa e, quando è possibile, cercando di farne di una due, sostiene il suo diritto di compratore. Dall’altra parte, la natura specifica della merce venduta [forza-lavoro] implica un limite del suo consumo da parte del compratore, mentre l’operaio, volendo limitare la giornata lavorativa [e il grado di intensità] ad una grandezza normale determinata, sostiene il suo diritto di venditore. Qui ha dunque luogo una antinomia: diritto contro diritto, entrambi consacrati dalla legge dello scambio delle merci. Fra diritti eguali decide la forza [Libro I, cap. VIII]».
Perciò nella storia della produzione capitalistica la lotta tra eguali diritti (consacrati dalla legge borghese), ma tra loro antagonisti, si presenta come lotta tra il capitalista collettivo e il salariato collettivo, ovvero  come lotta tra la classe dei padroni e quella dei salariati.
La volontà dei capitalisti, reclamizzata dai servi dei media e dell’accademia, di eliminare il contratto collettivo nazionale di lavoro, introducendo il contratto “azienda per azienda”, è un atto di forza, cioè di legale violenza borghese, tendente a dividere i salariati e le loro rappresentanze sindacali (quelle che i padroni non sono riusciti ancora a corrompere del tutto), atto a introdurre in tal modo ulteriori forme di controllo autoritario e di intimidazione nei posti di lavoro, di supersfruttamento della manodopera.

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