domenica 29 agosto 2010

L'orinatoio


Non è la coscienza a determinare l’essere, bensì l’essere sociale a determinare la coscienza, scriveva Marx.
Eugenio Scalfari è un multimilionario, forse multimiliardario, in euro. Oggettivamente è un alto borghese, soggettivamente un ideologo della propria classe e tra i più pericolosi poiché le “sue” idee sono diffuse in decine migliaia di copie proprio perché giudicate “autorevoli”. Egli pone le questioni in modo che implichino già nei lettori certe risposte e non altre, giammai la questione del superamento dell’attuale sistema di sfruttamento. Con “ragionevolezza” e “buonsenso”, egli argomenta solo le questioni relative alla sopravvivenza del capitalismo, alla sua pacata salvaguardia ed efficienza, alla “pace sociale” così utile alla “stabilità” nonché favorevole alla buona digestione. Insomma un imbonitore, una vedette della menzogna sistematica. Ritiene che non vi possa essere (e lo dimostrerebbe l’esperienza storica del Novecento) sistema migliore di questo, per quanto il capitalismo presenti molte contraddizioni. Il gioco è tra la sopravvivenza in catene democratiche e la ferocia stalinista, tra un orinatorio d'oro feticcio e una ceramica dozzinale. Insomma, l’unica materia che non può essere sperimentata nella nostra epoca sperimentale è la libertà.
Scalfari ritiene, esplicitamente (lo afferma nel suo editoriale di oggi), che “l'economia politica ha come tema centrale proprio quello dell'etica, cioè dei diritti e dei doveri, della felicità e dell'infelicità, della giustizia e del privilegio”. Questa affermazione è tipica del pensiero borghese, dei suoi ingannevoli sofismi. Scalfari, birbantello, sembra dimenticare una cosa ovvia: l’economia politica, nell'epoca attuale, è anzitutto la dottrina del capitale, cioè la scienza che diventa apologia. Il suo scopo precipuo, all’opposto di quanto indicato da Scalfari, è quello di mascherare la natura eminentemente predatoria e sfruttatrice del capitalismo, le cause delle crisi cicliche, non meno della crisi generale e del suo tramonto storico.
L’economia politica, nel senso più ampio del termine, è la “scienza delle condizioni e delle forme nelle quali le diverse società umane hanno prodotto e scambiato e nelle quali hanno volta per volta distribuito i loro prodotti in modo conforme a questa produzione e a questo scambio”. Come tutte le scienze sociali, anche l’economia politica ha un carattere storico, in quanto le “condizioni, in base alle quali gli uomini producono e scambiano, mutano di paese in paese, e in ogni paese, alla loro volta, di generazione in generazione. L’economia politica non può quindi essere la stessa per tutti i paesi e per tutte le epoche storiche” (F. Engels, Antidühring, MEOC, vol. XXV, pp. 143 e 140 ).
Scrive Marx nel poscritto alla seconda edizione de Il Capitale, critica dell’economia politica, 1873:
L'economia politica, in quanto è borghese, cioè in quanto concepisce l'ordinamento capitalistico, invece che come grado di svolgimento storicamente transitorio, addirittura all'inverso come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati.
Prendiamo l'Inghilterra. La sua economia politica classica cade nel periodo in cui la lotta fra le classi non era ancora sviluppata. Il suo ultimo grande rappresentante, il Ricardo, fa infine, consapevolmente, dell'opposizione fra gli interessi delle classi, fra salario e profitto, fra il profitto e la rendita fondiaria, il punto di partenza delle sue ricerche, concependo ingenuamente questa opposizione come legge naturale della società. Ma in tal modo la scienza borghese dell'economia era anche arrivata al suo limite insormontabile. Ancora mentre il Ricardo viveva, e in contrasto con lui, le si contrappose la critica, nella persona del Sismondi.
L'età seguente, dal 1820 al 1830, è contraddistinta in Inghilterra dalla vivacità scientifica nel campo dell'economia politica. Fu il periodo tanto della volgarizzazione e diffusione della teoria ricardiana, quanto della sua lotta contro la vecchia scuola. Si celebrarono splendidi tornei. Le imprese allora compiute sono poco conosciute sul continente europeo perché la polemica è dispersa in gran parte in articoli, scritti occasionali e pamphlets. Il carattere spregiudicato di quella polemica - benché la teoria ricardiana vi serva già, eccezionalmente, anche come arme offensiva contro l'economia borghese - si spiega con le circostanze del tempo. Da una parte, anche la grande industria stava appena uscendo dall'infanzia, com'è provato già dal fatto che essa apre il ciclo periodico della sua vita moderna soltanto con la crisi del 1825. Dall'altra parte, la lotta delle classi fra capitale e lavoro era respinta sullo sfondo, politicamente per la discordia fra i governi e l'aristocrazia feudale schierati attorno alla Santa Alleanza, e la massa popolare guidata dalla borghesia, economicamente per la contesa fra capitale industriale e proprietà fondiaria aristocratica, celata in Francia dietro l'opposizione fra piccola proprietà e grande proprietà fondiaria, apertamente scoppiata in Inghilterra dopo la legge sui grani. La letteratura economica inglese di questo periodo rammenta il periodo d'entusiasmo aggressivo per l'economia politica in Francia dopo la morte del dottor Quesnay: ma solo come l'estate di San Martino rammenta la primavera. Col 1830 subentrò la crisi che decise una volta per tutte.
La borghesia aveva conseguito il potere politico in Francia e in Inghilterra. Da quel momento la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria, forme via via più pronunciate e minacciose. Per la scienza economica borghese quella lotta suonò la campana a morto. Ora non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all'indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell'apologetica. Eppure perfino gli importuni trattatelli che l'Anti Corn Law League, con i fabbricanti Cobden e Bright in testa, lanciò per il mondo, offrivano un interesse se non scientifico almeno storico, con la loro polemica contro l'aristocrazia fondiaria. La legislazione sul libero commercio dopo Sir Robert Peel ha strappato all'economia volgare anche quest'ultimo pungiglione.
La rivoluzione continentale del 1848 ebbe il suo contraccolpo anche in Inghilterra. Uomini che ancora rivendicavano valore scientifico e volevano essere qualcosa di più di meri sofisti o sicofanti delle classi dominanti, cercarono di mettere l'economia politica del capitale d'accordo con le rivendicazioni del proletariato, che ormai non potevano essere ignorate più a lungo. Di qui un sincretismo esanime, com’è rappresentato, meglio che da altri, da John Stuart Mill.

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