venerdì 5 marzo 2010

Contropartita




L’Osservatore romano di oggi pubblica alcuni stralci di una delle relazioni, a firma di Thomas Brechenmacher, dell’Università di Potsdam, che saranno lette al seminario internazionale "Le gouvernement pontifical sous Pie XI:  pratiques romaines et gestion de l'universel" che il 5 e il 6 marzo si svolgerà all’École française di Roma. La relazione ha per oggetto l’attività del nunzio a Berlino Cesare Orsenigo (1930-1946), successore di Pacelli nella carica, così come emerge nelle carte dell'Archivio Segreto Vaticano (accessibili dal 1930 al 1939, quindi per il periodo del pontificato di Pio XI). Di seguito alcuni estratti dall’articolo. 

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Nella ricerca storiografica prevalgono i giudizi critici e negativi su Cesare Orsenigo nunzio a Berlino, anche se si riconosce in linea di massima che il suo compito fu assai difficile. […] Sulla base dei rapporti, spediti a Roma, l'immagine finora dominante di nunzio debole, incapace e troppo ben disposto verso il nazionalsocialismo, va almeno differenziata se non rivista.
[…] Affermazioni come quella di Orsenigo dell'11 aprile 1933, secondo cui la storia del nazionalsocialismo svoltasi fino a quel momento non era stata priva di qualche benemerenza, non vanno interpretate quale consenso di fondo del nunzio al regime, e lo stesso discorso vale per il testo originario della sua prolusione del capodanno 1934 che Pacelli gli restituì con l'istruzione di scegliere magari un tono un po’ meno euforico.

meno euforico» non significa, distaccato, obiettivo e, ancor meno, critico].
I rapporti di Orsenigo contengono dall'altra parte valutazioni della situazione di grande perspicacia, a dimostrazione che il nunzio imparava progressivamente a riconoscere e comprendere il vero volto del nazionalsocialismo. Orsenigo criticò apertamente la svolta dei vescovi tedeschi dopo la dichiarazione governativa pronunciata da Hitler il 23 marzo 1933. Egli ritenne precipitosa la parziale rinuncia alla posizione di inconciliabilità dei principi cattolici con l'ideologia nazionalsocialista; tale concessione era avvenuta senza trattative, e senza la sicura prospettiva di ottenere qualcosa in cambio:  "Forse si poteva, e si doveva - a mio avviso - esigere (...) qualche impegno preciso circa la libertà delle organizzazioni cattoliche, ma l'Episcopato ha preferito formulare la sua dichiarazione - piena di speranze - senza prendere alcun contatto, neppure segreto, col Governo:  mancata così ogni trattativa, non era possibile pensare a concessioni a titolo di contro-partita".
[Orsenigo «ritenne precipitosa la parziale rinuncia alla posizione di inconciliabilità dei principi cattolici con l'ideologia nazionalsocialista», non certo per motivi eminentemente dottrinali e di principio, ma perché in cambio il clero tedesco non aveva ancora incassato «concessioni», quali per esempio il «concordato» con tutto ciò che esso implica].
Sull'antibolscevismo dei nazionalsocialisti Orsenigo si espresse il 14 settembre 1935 nel contesto della sua relazione sul congresso nazionale del partito nazionalsocialista, svoltosi il 1935 a Norimberga:  "Questo Congresso, che pare tenda a suscitare in ogni nazione una guerra senza quartiere al bolscevismo, facendone responsabili solo i giudei. Questi discorsi, ricchi di numeri, di nomi e di fatti, producono sul popolo tedesco, data la sua speciale mentalità inclinata all'indagine, al calcolo e alla statistica, un'impressione profonda e anche terribilmente eccitatrice. Non è a meravigliarsi, se la caccia antisemita riprenderà, dopo il Congresso, con maggior ardore. D’altra parte essa viene così abilmente legittimata agli occhi del popolo dall’accusa di bolscevismo, che qui torna difficile trovare un tedesco non semita, che osi disapprovarla completamente".

[Sarebbe interessante conoscere, ma questo L’Osservatore non lo dice, quale fu la reazione del segretario di stato Pacelli a questo rapporto].
Estremamente chiaro fu anche il rapporto del 9 novembre 1938 sul vandalismo antisemita: "Mi faccio un dovere di aggiungere qualche notizia a quanto i giornali hanno già pubblicato circa il vandalismo antisemita del giorno 9 e 10 corrente in Germania. 1) Le distruzioni si sono iniziate, come su una parola d’ordine, nella notte immediatamente successiva alla notizia della morte in Parigi del giovane diplomatico, caduto sotto i colpi del giovane giudeo [cioè l'assassinio del segretario di legazione Ernst von Rath per mano di Herschel Grynszpan], i cui genitori erano stati espulsi dalla Germania verso la Polonia pochi giorni prima. La cieca vendetta popolare seguì un identico metodo dovunque: nella notte si frantumarono tutte le vetrine e si incendiarono le sinagoghe; il giorno seguente furono saccheggiati i negozi, che erano privi di ogni difesa, inutilizzando selvaggiamente le merci anche le più costose. 2) Solo verso il pomeriggio del giorno 10, dopo una giornata in cui la plebe aveva sfogato i più selvaggi sentimenti, frenata da nessun poliziotto, il Ministro Göbbels (sic!) diede ordine di cessare, qualificando l'avvenuto come sfogo del "popolo tedesco". Bastò questa parola a ristabilire la calma. Tutto ciò lascia facilmente intuire che l’ordine o il permesso di agire veniva molto dall'alto.
[La lettura di queste brevi notizie relative ai rapporti inviati dal nunzio ai suoi superiori a Roma, dimostra inequivocabilmente che Pacelli era ben al corrente non solo dei pogrom antisemiti (senza dimenticare che dopo l’ascesa di Hitler, i comunisti tedeschi divennero le prime vittime del terrore nazista), avvenimenti del resto ampiamente pubblicizzata dalla stampa, ma anche sulla reale natura della cricca al potere e i suoi metodi terroristici. Ciò nonostante la Chiesa, segnatamente sotto il pontificato pacelliano, quando non aderì, tacque].

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