domenica 21 marzo 2010

Clero strutturale




Di seguito alcuni stralci da un articolo di Enzo Mazzi pubblicato su il manifesto di ieri, dal titolo “La pedofilia strutturale della Chiesa”.


La pedofilia del clero è un fenomeno antico, come del resto la pedofilia intra-familiare. Se oggi emerge e fa scandalo non è necessariamente perché tale fenomeno si sia aggravato ma perché le vittime e i loro genitori hanno il coraggio di denunciare gli abusi […].
La pedofilia è un crimine e quella dei preti lo è a un livello di gravità e pericolosità particolarmente pesante. Il «sacro», cose sacre, persone sacre, luoghi e tempi sacri, proprio in quanto realtà separata tende ad annullare la sacralità dell'esistenza normale, esclude la sacralità del tutto e quindi è implicitamente e intrinsecamente fonte di violenza. Ma se il sacro si rende responsabile di esplicite forme di violenza, come nella pedofilia dei preti, allora la violenza esplicita e quella implicita si potenziano reciprocamente.
[…]
La pedofilia è interna [al] rapporto fra sesso e potere. Chi cerca il bambino o la bambina per soddisfare l'appetito sessuale lo fa per esprimere la propria sete di dominio verso una creatura fragile. È la sete di dominio la radice più profonda della pedofilia. Per cui combattere la pedofilia senza porre la scure alla radice non dico che è inutile ma certo è insufficiente. Ed è la sete di dominio che andrebbe sradicata dalla struttura del sacro.
[…]
Come una madre possessiva, sembra che Madre Chiesa voglia mantenere in una perenne condizione infantile i suoi figli, tanto li ama. Se non rischiasse di essere male interpretato, verrebbe voglia di chiamare tutto questo «pedofilia strutturale» della Chiesa, nel senso appunto di amore verso gli uomini e donne perennemente bambini. E la sacralizzazione del potere ecclesiastico, la teologia e la pastorale del disprezzo verso il corpo, il sesso e il piacere, la condanna di ogni forma di rapporto fra sessi che non sia consacrato dal matrimonio, non è tutto questo dominio violento?
C'è in questo momento la tendenza a puntare sulla concessione del matrimonio ai preti rendendo il celibato una scelta facoltativa e non definitiva. Ma è il sacerdozio in sé come casta sacrale detentrice di un potere derivante direttamente da Dio da porre in discussione.
È tempo che si crei un grande movimento per restituire al cristianesimo il senso della liberazione dal sacro, in quanto realtà separata, liberazione non solo dalle oppressioni economiche e politiche, ma anche psicologiche, etiche-morali, simboliche. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita a fondo e non solo quella dei preti.
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Un articolo per certi aspetti condivisibile ma pieno di contraddizioni. Il problema è proprio questo, che qualunque cosa detta o scritta da un prete cattolico non può che contenere un "vulnus" ideologico che è proprio ed irredimibile della condizione clericale. Nel caso dell'articolo, è eloquente in queste frasi: “il sacro, come realtà separata, contiene in sé la violenza”; “è la sete di dominio che andrebbe sradicata dalla struttura del sacro”. Di contro, è invocato un sacro immune da tale negatività, cioè un “cristianesimo restituito del senso della liberazione del sacro”. 
Gerarchia e separazione sono costitutive di ogni teogonia religiosa, di ogni forma oggettivata di sacralità; così come ogni pastore, appunto perché tale, rappresenta ed esercita un potere soggettivo, se non altro di comunicazione, sul proprio gregge. Infatti egli può predicare il “senso della liberazione del sacro”, ma non come liberazione effettiva, autentica, poiché essa implicherebbe inevitabilmente la liberazione dal sacro e dai suoi sedicenti demiurghi, per quanto "libertari".


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