martedì 26 gennaio 2010

Anatomia di un cappuccino tiepido


Scriveva Gianni Riotta il 10 gennaio:
«Mettere ogni giorno insieme, senza alcuna selezione, gli argomenti dei filosofi e le arrabbiature del tizio davanti al cappuccino tiepido, l'analisi economica di un Nobel e lo sfogo del qualunquista di turno, può essere celebrato dagli ingenui alla moda come «open source» e «democrazia di rete». Il pericolo è invece riassunto bene nelle parole del guru Lanier: «I blog anonimi, con i loro inutili commenti, gli scherzi frivoli di tanti video» ci hanno tutti ridotti a formichine liete di avere la faccina su Facebook, la battuta su Twitter e la pasquinata firmata «Zorro» sul sito. In realtà questa poltiglia di informazione amorfa rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica».
Il punto massimo di questa “analisi”, servita da Riotta, riguarda esplicitamente il benessere della rete, quindi l’affidabilità e la salvaguardia di “contenuti” e “verità”. Non deve stupire quindi che c’è chi ha il coraggio di prenderla per buona e di dargli ragione (gente di “buon senso”), conseguenza naturale della credulità (un tempo denotata come falsa coscienza, ma non usa più per le note ragioni).

Commentavo nel post Riotta, il copyright e la "normalizzazione". del 15 gennaio:

La cosiddetta anarchia di internet denunciata da Riotta, in realtà interessa nella misura in cui la libertà della rete contrasta con gli interessi dei grandi editori: farsi pagare l’accesso al giornale on-line è cosa scontata, ma tutt’altra faccenda, stante la situazione, diventa la tutela effettiva del prodotto  editoriale, ovvero la difficoltà e anzi l’impossibilità di una efficace difesa del copyright (nello spirito che il consumo dell'ideologia deve invece sostenere una volta di più l'ideologia del consumo). Questo perché creazione e fruizione dell'informazione e della cultura non trovano più pacifica corrispondenza con i criteri economici e giuridici vigenti.
Risponde a Riotta sul 24Ore di domenica, pp. 1-9, il De Benedetti Carlo, il quale, essendo padrone in prima persona, solleva il coperchio:
«Far pagare le notizie di qualità su internet è parte del mix di misure anticrisi che gli editori stanno definendo. Il «New York Times», i quotidiani della galassia di Rupert Murdoch, quelli di Axel Springer in Germania stanno per mettere in vendita una quota dei propri contenuti informativi digitali. Se si offre un buon prodotto, chiunque capisce che è ragionevole pagarlo, sia che se ne fruisca sul cellulare sia online».
È evidente ora, anche alla “gente di buon senso”, come la cosa più importante fosse nascosta o quanto meno dissimulata. De Benedetti, deve comunque far salve le règles de comportement:

«Il dibattito sul Sole 24 Ore, da Lei aperto, ha centrato questo problema: la Rete non può restare un Far West senza regole o una Somalia in balìa dei signori della guerra, dove tutto è gratis e la pirateria non è un reato».
Bugia: i termini “prodotto-vendita-regole-gratis-copyright-reato-pirateria” nell’articolo di Riotta non ricorrono nemmeno una volta; si parla d’altro. Prosegue De Benedetti:
[…] Allo stesso modo Google non può sfruttare i contenuti prodotti da altri senza dare nulla in cambio.
[…]Come Google, molti altri soggetti, dagli aggregatori alle rassegne stampa, non rispettano le regole che tutelano i diritti di proprietà intellettuale. Questi diritti devono trovare una definizione legislativa più netta e, soprattutto, ampliarsi. Dobbiamo pertanto rilanciare la protezione del copyright, studiando l'adozione di software e sistemi che consentano un reale controllo dell'uso e del rispetto dei diritti connessi a ciascun contenuto.
[…] Paradossalmente, più sono i contenuti free, più crescono i guadagni degli operatori, meno crescono quelli degli editori che li hanno prodotti: i contenuti attraggono utenza, ma i ricavi vanno tutti agli oligopolisti dell'intermediazione. È ora di cambiare registro.
Ecco quindi la giusta ricezione e perfetta traduzione, nell’unico linguaggio che conta, dell’articolo di Riotta e che ha prodotto, di contro, le chiacchiere di Guido Vetere e dei suoi simili.
Testoline, la disinformazione non è la semplice negazione di un fatto, semplice menzogna, ma contiene una certa parte di verità, deliberatamente manipolata. Questa vicenda è una battaglia tra grandi monopoli, dove noi siamo solo dei soldatini, con Riotta come sergente di giornata.

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